I consumatori sono sempre più allarmati e ora c’è il pericolo concreto che la “febbre da cavallo”, alimentata da notizie di stampa sulla scoperta di cibi precotti contenenti sia pure quantità minime di carne di cavallo, vada a contagiare seriamente i consumi con immediati danni economici e d’immagine per tutte quelle aziende del settore che, anche nella nostra regione, hanno sempre lavorato per la qualità e la tracciabilità. Non si può dimenticare infatti il conto “salatissimo” che il Paese ha già pagato per colpa degli allarmi alimentari veri o presunti degli ultimi dieci anni: tra “mucca pazza”, aviaria e “batterio killer” il bilancio dei danni della “paura a tavola” supera la cifra record di 5 miliardi di euro. E’ quanto sostiene la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori della Basilicata secondo cui “in tema di marchio delle carni lucane bisogna fare più in fretta perché questa è la strada di più efficace di garanzia per consumatori e contestualmente per gli allevatori. E se da tempo carne podolica e Agnello delle dolomiti lucane rappresentano le eccellenze capaci di fare da volano all’intero comparto zootecnico lucano l’unica soluzione strutturale in grado di assicurare la trasparenza negli scambi commerciali e la tutela di consumatori e produttori dal rischio frodi è l’estensione dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti gli alimenti, a partire dalla materia prima utilizzata”.
Per il direttore regionale della Cia, Luciano Sileo, “la decisione della Commissione Ue di anticipare all’estate o all’inizio dell’autunno la presentazione del rapporto sull’etichettatura della carne lavorata e dei prodotti che la contengono, inizialmente previsto alla fine del 2013, è un primo segnale in direzione di una completa tracciabilità alimentare, ma i tempi restano ancora irrimediabilmente lunghi. Siamo sempre più convinti che -afferma Sileo- tracciabilità, benessere animale, etichettatura chiara, rispetto dell’ambiente e sicurezza alimentare, principi ispiratori del marchio, sono essenziali. Dunque insistere sulla qualità, i controlli sull’intera filiera allevamenti-mattatoi-macellerie-aziende di trasformazione-supermercati rappresenta una garanzia in più per i consumatori e un vantaggio in più per gli allevatori che spuntano ancora prezzi bassi rispetto ai costi sempre crescenti in stalla. Dobbiamo, perciò, riprendere l’iniziativa avviata negli anni passati dalle associazioni professionali degli allevatori per riaprire un tavolo tecnico regionale su questo tema, facendo tesoro dell’esperienza positiva realizzata dagli allevatori di suini e dalle aziende di trasformazione dell’area Picerno-Melandro. Di qui l’esigenza, come sta avvenendo per i salumi, di pervenire ad un “paniere” di prodotti lucani tipici trasformati con un marchio di d’origine protetta regionale che tra l’altro ha una regolamentazione comunitaria più semplice di quella prevista per Dop e Docg. La Cia ribadisce infine l’attualità di un Piano regionale per il comparto zootecnico e di un programma di consolidamento e rilancio del sistema agroalimentare e industriale legato alle produzioni locali tipiche e di qualità. Gli allevatori lucani vivono un momento di grande difficoltà. I prezzi del bestiame alla stalla sono sempre in discesa –conclude Sileo- mentre i costi onerosi creano ostacoli e problemi alla gestione delle imprese e il consumo di carne fresca è in calo. Dunque una situazione complessa che richiede interventi e azioni efficaci”.