“Quanto sarebbe di aiuto per le imprese agricole italiane una maggiore trasparenza sull’origine degli alimenti? Che può dirci il Ministro De Girolamo dello stato di salute riguardo quelle aziende agricole in cui l’obbligo di etichettatura dell’origine è già attivo da tempo? O piuttosto si devono mettere in atto strategie alternative che consentano di combattere la crisi degli agricoltori italiani, derivante dal fatto che i costi sono superiori ai ricavi? E se sì, quali? E’ solo questione di competitività scarsa o anche di squilibrio nella distribuzione del reddito?” Così dichiara Saverio De Bonis, coordinatore della Fima (Federazione Italiana Movimenti Agricoli).
Domande che non possono trovare risposte nell’utilità della partecipazione di uno o più ministri a manifestazioni obsolete e di parte. Con una lettera al Giornale, a distanza di sei giorni dalla manifestazione della Coldiretti sul Brennero, il Ministro De Girolamo ha cavalcato il momento mediatico dei forconi precisando di aver partecipato alla manifestazione sul Brennero, senza aver aderito ai blocchi, ma senza spendere una parola sulla manifestazione in corso dei forconi. Anzi, il Ministro ha addirittura affermato che dello stesso avviso sono stati i suoi predecessori, Zaia, e Galan, che sempre al Brennero hanno partecipato alle varie rassegne folkloristiche inscenate dalla Coldiretti.
Ora, – aggiunge la Fima – cosa importa ai settecentomila agricoltori italiani che soffrono se tre ministri hanno indossato o meno il giubbotto o il cappellino giallo? Cosa importa a quasi un milione di partite iva agricole che negli ultimi dieci anni hanno chiuso la loro attività? La vera domanda è un’ altra. Il nostro Ministro dovrebbe indicarci quante e quali di quelle aziende che hanno già beneficiato dell’etichettatura di origine obbligatoria hanno oggi bilanci floridi. Quante aziende ortofrutticole, olivicole, zootecniche sono in grado di onorare i debiti? Quante hanno ricavi superiori ai costi? E, infine, chiarirci se quel modello che Lei insegue, insieme a tutti i suoi predecessori, abbia sinora prodotto risultati utili alle imprese. Se la risposta non sarà positiva, allora vorrà dire che la diagnosi è giusta, ma la terapia è sbagliata o quanto meno insufficiente.
Se il ministro De Girolamo vuole realmente aiutare le aziende agricole italiane dovrebbe sapere che c’è già una misura utile del suo predecessore Catania, ed è l’art 62. In particolare, nella parte in cui viene sancito il principio di divieto di vendita sottocosto delle materie prime agricole. L’Italia, quindi, ha già esteso tale divieto ai prodotti agricoli attraverso la cornice giuridica, ma non ha ancora applicato concretamente la disposizione. Perché?
Cosa dovrebbe fare il nostro ministro se vuole passare alla storia? Semplice, – conclude la nota Fima – dovrebbe occuparsi del funzionamento dei mercati agricoli europei, superando le resistenze delle lobby industriali e sindacali. Negli altri paesi occidentali esistono i marketing boards, enti pubblici istituiti da un’azione di governo, ai quali sono delegati poteri giuridici di coercizione sui produttori e gestori di prodotti agricoli primari o trasformati. Sia chiaro: questi strumenti sono cosa ben diversa dalle attuali borse-merci italiane, una sorta di schermo legale per i cartelli, del cui funzionamento il nostro Ministro è ben informato nei minimi particolari! Perché il punto vero è un altro. in Italia manca la funzione di monitoraggio dei costi di produzione all’origine, il tutto è affidato al libero mercato che stritola a tenaglia gli agricoltori, con effetti a cascata sui consumatori. Chi ci guadagna da questa giungla che genera squilibrio nella distribuzione dei redditi? Presto detto: pochi industriali e poche multinazionali. Negli altri paesi, invece, lo Stato calmiera sia i prezzi all’origine (attraverso il marketing board), sia i prezzi al commercio (tramite il marketing trade). Quindi, caro Ministro, occorre mettere mano alla regolazione dei mercati! E bisogna farlo in fretta! L’ etichettatura è condizione necessaria, ma non sufficiente a superare la crisi.