Una “boccata di ossigeno” per il comparto dei servizi di ristorazione che in Basilicata è formato da 2.755 imprese (il 64,6% sono ditte individuali) di cui 1.299 ristoranti (60,6% ditte individuali) a cui si aggiungono 1.419 bar (69,3% ditte individuali). Fipe-Confcommercio commenta la riapertura come un segnale di allentamento dei provvedimenti più restrittivi che hanno inciso profondamente sul settore ma anche sul comportamento dei lucani che da sempre hanno un legame profondo con la cucina tradizionale e a quella innovativa dei nostri ristoranti. “Nella prima giornata di ritorno ai piatti serviti al tavolo è troppo presto per dire come è andata, ma sicuramente – commenta Michele Tropiano vice presidente Confcommercio – ha aiutato ristoratori, albergatori e titolari di bar-pub a ripensare in positivo in vista delle feste. Nessuno di noi pensava di fare grandi numeri. Ci sono però le condizioni di una ripresa e di garantire sicurezza ai clienti perché tornino con fiducia al ristorante. E’ il nostro un modo non certo scontato di reagire per non contare solo su aiuti e misure di sostegno, nazionali e regionali.In proposito – aggiunge Tropiano – è stato positivo l’Avviso del Dipartimento Attività Produttive della Regione, voluto dall’assessore Cupparo, che ci sgraverà di un buon 80% dei costo della Tari. Se tasse e tributi sono pesantissimi in tempi normali, sfidiamo chiunque a verificarlo adesso. Solo che oltrea ridurre i costi e alla tutela sanitaria vi è anche l’esigenza improcrastinabile di centinaia di micro aziende e famiglie di tornare a lavorare e la cui unica fonte di reddito è l’attività esercitata. E’ diventato ormai vitale poter riaprire e riprendere il contatto diretto con gli utenti””.
Come per gli altri settori commerciali anche il mondo del mangiare risente della crisi con un saldo tra chiusure-aperture di 65 imprese che si è accentuato nei primi mesi del 2018 per i ristoranti con 137 cessazioni a fronte di 95 nuove iscrizioni. Il Rapporto quest’anno ha voluto indagare approfonditamente “I nuovi stili alimentari degli italiani”, facendo il punto su come una relazione solida e storica – come quella che lega le persone al cibo – cambia e si modifica adattandosi ai tempi moderni. “Siamo un Paese dalla grande tradizione culinaria, dove al pasto sono sempre associati i valori di relazione e convivialità, ed è proprio con questo spirito che nel nostro settore ristoratori e baristi si occupano di accogliere i clienti, diventando testimoni, anche all’estero, delle più belle qualità di noi italiani”, commenta Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe. “Il cambiamento dei ritmi e degli stili di vita sta modificando sensibilmente le nostre relazioni con il cibo come emerge dal rapporto Fipe di quest’anno, imponendo alle nostre imprese un supplemento di responsabilità per garantire qualità, sicurezza alimentare e salute. In questo senso i ristoranti sono luoghi fondamentali per promuovere i corretti stili alimentari: il protocollo di intesa recentemente siglato da Fipe con il Ministero della Salute ne è la testimonianza. Una collaborazione nata dal comune impegno a fornire al pubblico informazioni sempre più puntuali per promuovere corretti stili di vita, per contrastare alcune patologie come obesità e abuso di alcol; e per gestire meglio il crescente fenomeno delle allergie e delle intolleranze alimentari”. Dal Rapporto 2018 emerge un quadro di sostanziale ottimismo soprattutto per quanto concerne l’andamento dei consumi alimentari fuoricasa, ormai attestati sul 36% dei consumi alimentari complessivi, con un valore aggiunto di 43,2 miliardi di euro, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa. Resta elevato il turnover imprenditoriale: nel 2017 hanno cessato l’attività oltre 25.780 imprese, evidenziando però un trend di miglioramento del turnover, erano infatti oltre 26.770 le imprese cessate nel 2015. Un quadro che risulta comunque favorevole con un totale di oltre 333.640 imprese in attività ad oggi. Restano positivi i dati sulle prospettive occupazionali offerte dal settore: sono infatti oltre 1.252.260 gli occupati, di cui 864.062 dipendenti e 388.202 lavoratori indipendenti. Andando a vedere in dettaglio i dati emersi dal Rapporto si nota come il tempo, la risorsa che scarseggia di più nella vita delle persone, stia fortemente condizionando la relazione con il cibo: il 32,7% degli intervistati ha dichiarato di cucinare a pranzo tutti i giorni, percentuale che sale al 53% per la cena, pasto che sta assumendo un ruolo sempre più importante nella nostra vita. Se nel 1998 il 78% delle persone erano solite pranzare a casa, in 20 anni la percentuale è scesa al di sotto del 72%, una contrazione che in assoluto equivale a circa 3,5 milioni di persone. Ci offrono un ulteriore spaccato della società i più piccoli: per circa 800 mila bambini con età compresa tra 3 e 10 anni la cena è il pasto principale della giornata. Tra coloro che cucinano “tutti i giorni” o “qualche volta” il 76,9% dedica 30 minuti al giorno a questa attività. In media sono 37 i minuti dedicati ogni giorno alla preparazione dei pasti, ma ancora di meno sono quelli dedicati al loro consumo: appena 29. Anche la spesa vuole la sua parte: il 48,6% degli intervistati dedica da una a due ore a settimana agli acquisti con un tempo medio settimanale di 105 minuti. Si nota un ritorno alla piccola spesa, ben il 50,1% degli intervistati preferisce acquistare il necessario giorno per giorno. La scarsità di tempo a disposizione e l’abitudine a cucinare meno si riflettono in una nuova consuetudine: l’utilizzo di piattaforme di food delivery: nell’ultimo anno il 30,2% degli italiani ha avuto occasione di ordinare online il pranzo o la cena da piattaforme web. Molti italiani, il 44,6% nello specifico, vivono ancora il momento di mettersi a tavola come un’occasione di relax e per riunire la famiglia. Alcune tradizioni, insomma, non si scordano mai, ad esempio ben il 75% degli intervistati dichiara di conoscere ricette o piatti tradizionaliche si tramandano di generazione in generazione, in prevalenza da mamme o nonne. Cucinare questi piatti, per la maggior parte degli intervistati, evoca ricordi e forti emozioni: soprattutto amore e nostalgia. Insomma, nonostante tutto, in Italia il cibo ha ancora un ruolo fondamentale nelle relazioni individuali e collettive. Sta aumentando tra gli italiani la consapevolezza dello stretto rapporto tra alimentazione e benessere. I dati parlano chiaro: il 97,1% degli intervistati, la quasi totalità, è consapevole del fatto che la nostra salute e il nostro benessere dipendono da ciò che mangiamo. Il 71,8% degli intervistati si informa, durante la scelta del piatto, sulla qualità e la provenienza dei prodotti utilizzati, e più dell’89,1% ritiene che anche i locali siano più attenti a offrire alla clientela piatti salutistici. Nonostante questa rinnovata attenzione al benessere che si nota tra gli italiani solo il 53,3% degli intervistati dichiara di consumare verdure e ortaggi quotidianamente, ciò significa che una persona su due continua ad avere un’alimentazione che non prevede quotidianamente una porzione di verdure. Si nota comunque un trend di crescita rispetto al 2005 in cui il consumo quotidiano di verdura era abitudine solo per il 48,9%. Vanno esattamente nella direzione opposta le abitudini di consumo della frutta: 8 persone su 10 la consumano quotidianamente, ma il trend è in flessione: dal 77,3% del 2005 al 74% del 2018. Sempre più consapevole è anche il consumo di sale che si riflette nella scelta, sempre più popolare, di sale arricchito di iodio. È interessante osservare che l’attenzione non è aumentata solo tra persone nelle fasce d’età maggiori, ma anche tra giovani e giovanissimi. Pane e pasta, invece, hanno avuto momenti migliori: sono infatti spariti dalla dieta quotidiana di una quota di popolazione pari all’8,3%, ma resta comunque alto il numero di chi ancora li consuma abitualmente. Il latte viene consumato quotidianamente da un italiano su due, ma l’abitudine si riduce sensibilmente tra i più giovani: la quota di bambini con età compresa tra 6 e 10 anni che consuma latte ogni giorno è scesa dall’81,5% del 2005 al 71,2% del 2018. “Parlando invece degli aspetti generali del Rapporto – sottolinea Michele Tropiano, vice presidente Confcommercio Potenza – i numeri confermano il valore del nostro settore non solo da un punto di vista economico, ma anche culturale e sociale. In termini di consumi, occupazione e valore aggiunto emerge il ruolo centrale della ristorazione nella filiera agroalimentare nazionale, un elemento di cui dovranno tener conto le politiche di filiera, ad ogni livello. Non possiamo nascondere, infine, alcune rilevanti criticità che pesano sullo sviluppo del settore a cominciare dagli elevati tassi di mortalità imprenditoriale, dall’eccesso di offerta e dall’abusivismo, dalla bassa marginalità e da una progressiva dequalificazione”
Lo studio nazionale della Fipe indica in 50mila i pubblici esercizi che potrebbero abbassare le saracinesche per la pandemia con la perdita di 350mila posti di lavoro. Ad essere soddisfatti di aver riaperto sono il 61% degli imprenditori, ma sale la percentuale di chi ritiene che non riuscirà a tornare ai livelli di attività precedenti il lockdown (68%), segno di un sentiment di forte preoccupazione delle aziende per il futuro. Nonostante siano soddisfatti di aver potuto riaprire, gli imprenditori vedono chiaramente la difficoltà di tornare ai ritmi precovid in tempi rapidi, le motivazioni sono molteplici ma prime far tutte la carenza di turisti e il calo dei consumi. La domanda da porsi a questo punto è: quanto può resistere una azienda che fattura tra il 30 e il 40% in meno? Gli aiuti a fondo perduto della Regione – si sottolinea – sono stati significativi innanzitutto per incoraggiare a riaprire. Ma i ristoratori puntano decisamente sul ritorno dei clienti e per incrementare i coperti ai tavoli puntano su tre “ingredienti”: piatti della tradizione, tavoli all’aperto e costi contenuti.
L’ ostinazione contro la dura legge delle cifre e dei conti economici e le “contromisure” alla crisi dei consumi stanno dimostrando di essere le armi vincenti e più forti del virus perché sono diventati virus positivi del mangiare bene in convivialità, andando oltre al semplice consumo del pasto, sino a diventare incoraggiamento di ritorno alla vita di prima. Roberto Calugi, direttore generale di Fipe-Confcommercio: “I nostri ristoranti sono un luogo sicuro, lo dimostra il fatto che questa estate, in cui l’affluenza in certi luoghi è stata significativa, non si sono segnalate criticità”.