Fp Cgil: “Carenza medici medicina generale, negato il diritto alla salute dei lucani, ridotto anche il numero di infermieri. Serve una politica di attrazione e investimenti congrui e spendibili oggi. Di seguito la nota integrale.
Il fenomeno della carenza di personale medico nei presidi di continuità assistenziale in tutta la Basilicata si configura sempre più come un’emorragia che mina il diritto alla salute dei lucani. Il dato Gimbe, secondo il quale nel 2025 in Basilicata il numero dei medici di medicina generale diminuirà di ulteriori 36 unità rispetto al 2021, lancia un vero e proprio allarme, andandosi a scontrare anche con quanto previsto dal piano operativo dell’assistenza territoriale. Siamo tra le prime tre regioni, dopo la Calabria e la Campania, che avranno una maggiore riduzione percentuale dei medici di medicina generale, mentre registriamo una classe medica che per l’82% ha oltre 27 anni dalla laurea e nessun professionista a 6 anni dalla laurea.
La mancata messa a regime del servizio di emergenza-urgenza 118 e la carenza dei medici lasceranno diverse comunità, specie le più piccole e confinate nelle aree interne, prive di un qualsivoglia presidio medico. Già oggi in quasi tutti i comuni della Basilicata c’è una importante carenza di medici e in alcune aree siamo totalmente sguarniti.
In un tale contesto i medici lucani, sempre più pochi, sfiduciati e delusi da una politica indifferente, non vengono più messi in condizione di garantire una effettiva sanità di prossimità. Il mancato rinnovo degli accordi integrativi regionali (per la medicina generale, la pediatria di libera scelta, la specialistica ambulatoriale, fermi al 2007/2008), ha di fatto reso la medicina convenzionata lucana meno attrattiva, generando una vera e propria fuga di professionisti. L’assenza di un cambio di passo da parte della Regione, rischia di non mettere in grado la medicina convenzionata di affrontare le sfide future delineate dai programmi del Pnrr.
Significativo è anche il dato Agenas sul personale infermieristico all’azienda ospedaliera regionale San Carlo.Nonostante gli sforzi assunzionali, il rapporto nazionale sulle performance delle aziende ospedaliere, che colloca il San Carlo in una fascia intermedia, indica una media di inferimieri per posto letto al di sotto dell’1,5, con una ulteriore riduzione dal 2019 al 2021.
Un’errata programmazione, il mancato riordino del sistema ospedaliero e dei servizi territoriali e l’assenza di un piano socio sanitario rendono di fatto monco anche il piano operativo dell’assistenza territoriale in attuazione del decreto ministeriale 77 del 2022. La stessa autonomia differenziata amplierà ulteriormente il gap, già consistente, con le regioni del Nord, rischiando di dare il colpo fatale al nostro servizio sanitario nazionale.
Anche il Decreto Bollette approvato dal Consiglio dei ministri lascia privo di soluzione e di prospettive il grande problema del destino del Ssn e dei professionisti che lavorano al suo interno, non incentivandoli a rimanere nella sanità pubblica. Tantomeno il giro di vite arresterà il reclutamento dei gettonisti, nella nostra regione ancora non esploso, che finisce anche per essere legittimato.
La crisi della sanità pubblica richiede investimenti appropriati, mentre il disagio dei professionisti non necessita di provvedimenti spot ma strutturali, incluso l’utilizzo della leva retributiva. La sostenibilità di un sistema sanitario è una precisa scelta politica. È arrivato davvero il momento di salvaguardare il nostro servizio di cure pubblico e universale in tutte le sue articolazioni.