Fp Cgil Potenza: “Amministrazioni aprano confronto sui protocolli di rientro e sullo smart working. Basta con l’attuale deregolamentazione”. Di seguito la nota integrale.
Sono molti gli enti che in Basilicata non hanno adottato in maniera idonea le misure di smart working. Si passa da chi continua con il lavoro agile come nel periodo dell’emergenza a chi, con un po’ di ottimismo ma anche di irresponsabilità, fa rientrare tutti in ufficio. Già la stessa Regione Basilicata ne è un esempio: vi sono dipartimenti in cui i lavoratori in servizio sono quasi mosche bianche, altri che hanno organizzato una discreta presenza attivando rotazioni, altri invece in cui sembra che il Covid non sia mai arrivato. Più persone in una stanza e dispositivi di protezione di fortuna. Non è da meno la Provincia di Potenza, dove addirittura un’area ha autorizzato il personale in due modalità di lavoro a distanza: le categorie più elevate possono fare lo smart working e quelle inferiori solo il telelavoro. Anche il Comune di Potenza conferma questa tendenza: solo una unità di direzione ha individuato le attività da svolgere in lavoro agile.
La Fp Cgil, pur rilevando una carenza normativa di linee di indirizzo comuni, ritiene indispensabile, soprattutto in questa fase di aumento dei contagi, che si condivida presso ogni ente il protocollo rientro in sicurezza del 24 luglio, si individuino le attività “smartabili” e si regolamenti lo smart working non solo nelle modalità di applicazione ma anche e soprattutto in ciò che riguarda il diritto di disconnessione, la tutela della privacy e gli effetti sui compensi incentivanti.
L’art.263 della legge di conversione del dl Rilancio scandisce i tempi per l’applicazione della modalità di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni nella fase cosiddetta semi-emergenziale. Cambia anzitutto l’agente: nella fase emergenziale il lavoro agile è stata la modalità ordinaria di espletamento dell’attività nella pa, non una scelta del lavoratore.
Con la legge 77/2020 diventa invece una volontà del singolo che, se svolge attività “smartabili”, può chiedere al datore di lavoro di continuare con tale modalità. Cambia però anche il ruolo del dirigente, per il quale la norma prevede una specifica formazione.
Questi deve individuare le attività in smart working, autorizzare i lavoratori che ne fanno richiesta, garantendo una presenza negli uffici non superiore al 50%. La ratio di questa norma discende dalla volontà di tutelare la salute pubblica, la sicurezza dell’utenza e dei lavoratori che non posso rientrare tutti contemporaneamente in ufficio, non garantendo le misure previste dai protocolli di sicurezza, da ultimo quello del 24 luglio 2020.
Ed è proprio il diritto alla salute nelle sue sfaccettature che dovrebbe spingere gli amministratori pubblici e i dirigenti ad adottare puntualmente tutte le misure anticontagio previste dai protocolli, in primis. Solo attraverso il distanziamento e il rispetto delle misure previste dai protocolli anticontagio possiamo evitare ulteriori pericoli sia ai lavoratori che all’utenza, e quindi alla cittadinanza.
È inutile rammentare che la responsabilità, nel caso di mancato rispetto delle norme di contrasto alla diffusione del virus Covid 19, sono in capo al datore di lavoro che risponde direttamente della tutela della salute dei suoi lavoratori.
Da parte nostra riteniamo sia indispensabile e non più rinviabile che le amministrazioni si siedano ai tavoli per redigere insieme il protocollo di rientro e regolamentare lo smart working, ricordando a quelle un po’ sorde che si tratta di materia di contrattazione, prevista dai CCNL di comparto e che è vero che si devono erogare servizi ai cittadini ma sempre contemperando la salute dei propri lavoratori.