La pandemia ed in particolare i mesi di isolamento a casa hanno cambiato inevitabilmente anche il modo di vestirsi. Le donne italiane hanno scelto un abbigliamento pratico senza però rinunciare ad una “maglieria di qualità” che garantisce libertà di movimento ma con “un minimo di eleganza”. La moda e di conseguenza il comparto abbigliamento hanno comunque subito gli effetti peggiori della crisi: tra gennaio e novembre 2020 le imprese hanno perso 16,9 miliardi di euro di fatturato e 10,7 miliardi di euro di esportazioni. A rilevarlo è Confartigianato Moda sottolineando che il settore della Moda conta 141.523 imprese registrate che rappresentano il 2,3% del totale delle imprese. Oltre la metà (55,4%) delle imprese del settore, pari a 78.416 unità, sono artigiane, quota più che doppia rispetto al peso che l’artigianato ha sul totale delle imprese, pari al 22%. Nelle regioni del Sud sono complessivamente 7.468 le ditte artigiane di abbigliamento tessile e in pelle. Secondo la “mappa” di Confartigianato al primo posto c’è la Puglia (1.751 abbigliamento e 293 pelle), seguita da Campania (1.711, 553), Sicilia (768, 134), Abruzzo (707, 324), Calabria (495, 54), Sardegna (307, 76) Basilicata (183, 10) e Molise (90, 11).
“Il sistema moda – sottolinea Rosa Gentile componente della Giunta nazionale Confartigianato – non è solo grandi firme, ma è anche una vasta rete di piccoli artigiani, che dal disegno al taglio realizzano capi unici. La sartoria artigianale nonostante tutto è un settore ancora vivace, ed il sarto è una professione “a tutto tondo” riscoperta da giovani e meno giovani che voglio distinguersi. Il segnale più incoraggiante è che il 17% delle imprese sono imprese giovani con titolari in gran parte donne sotto i 35 anni. Un bel risultato visto che solo qualche anno fa una delle maggiori difficoltà era proprio il ricambio generazionale”.
Secondo Confartigianato Moda per salvaguardare il fulcro portante della manifattura Made in Italy in termini di prodotto e di maestranze, è fondamentale evitare il default delle aziende. Per questo si devono pensare innanzitutto misure strutturali a favore delle imprese, ma che comunque siano riconducibili a filiere o distretti manifatturieri. Solo così potrà essere permessa una veloce “ripresa” nel momento in cui l’emergenza finirà. Pur in assenza di fatturazione permangono costi fissi non eliminabili nell’immediato, tasse e fornitori da pagare. Per mettere in sicurezza la filiera della Moda e dare modo alle imprese di programmare le attività nel presente e sul lungo periodo, sono necessari ulteriori strumenti tarati sulle specifiche esigenze della filiera della Moda. Attivare un prestito garantito dallo Stato all’origine del rischio d’impresa, ovvero all’acquisto (e saldo) delle materie prime ed all’avvio della fase produttiva, dalla progettazione alla campionatura. In tal senso si deve mettere a regime un credito d’imposta fino al 70% sul tetto massimo dei costi per la creazione di campionari e lo sviluppo delle collezioni, per le micro e piccole imprese con un tetto di fatturato di 10 milioni di euro (o fino a 50 dipendenti), che sia proporzionale al verificabile valore produttivo effettivamente avvenuto entro i confini nazionali. Tale credito verrà erogato a fronte di uno strumento di monitoraggio (ad es. una autocertificazione), che attesti la solvenza dell’impresa nei confronti del fornitore su tutti gli ordini pronti, ma bloccati o non inviati e su quelli inviati e non saldati.
Sono Creatività, Cultura d’impresa, etica e legalità, gli ingredienti che rappresentano il vero lusso del Made in Italy. E’, quindi, indispensabile innescare un’attività di vigilanza con la previsione di correttivi efficaci, a pretesa del rispetto della normativa lavoristica e fiscale e sull’applicazione dei contratti di subfornitura, perseguendo al contempo politiche che consolidino ed accrescano la competitività del settore, garantendo una legale concorrenza tra le aziende. In quest’ottica deve inoltre essere rilanciato il valore strategico della filiera, come un modello di produzione sostenibile (modello diametralmente opposto a quello “usa e getta” di scarsa qualità e dubbia etica del lavoro, spesso proveniente dai mercati asiatici) nel mondo, tenendo conto della sua prevalente occupazione femminile e affrontando il tema del ricambio generazionale.
“Le imprese artigiane italiane, straordinario esempio del ‘su misura’ e del “ben fatto” – sottolinea ancora Gentile – rappresentano la difesa dall’omologazione delle produzioni in serie. Il Made in Italy è la capacità di coniugare tradizione ed innovazione, di comprendere la contemporaneità e di anticiparne gli stili in un equilibrio di bellezza e senso estetico che abbiamo saputo mettere nel taglio di un vestito, nell’impuntura di una calzatura, nell’eleganza di una borsa e costituisce innegabilmente un vantaggio competitivo a livello internazionale”.
Settori produttivi come quelli che costituiscono il Sistema Moda (Tessile, Abbigliamento, Calzature e Cuoio, Occhialeria) – per Confartigianato sono tra i primi nella formazione del PIL, nella voce delle esportazioni e nell’occupazione femminile del nostro Paese. Tuttavia, dobbiamo mestamente evidenziare che negli interventi relativi alle politiche industriali di filiera e internazionalizzazione si trova solo un generico riferimento: “Particolare attenzione sarà rivolta, in questo ambito progettuale, alle imprese che promuovono nel mondo i prodotti del Made in Italy, in particolare a quelle di minori dimensioni.”. Auspichiamo una forte spinta all’Internazionalizzazione nella promozione dei prodotti Made in Italy attraverso investimenti che accompagnino le imprese a riposizionarsi sui mercati internazionali, anche digitalmente, e che permettano alle medio-piccole imprese di presentare i propri prodotti in maniera sinergica e rafforzata, come a recita il PNRR “Favorire lo sviluppo delle filiere produttive, in particolare quelle innovative, nonché del Made in Italy ed aumentare la competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali, utilizzando a tale scopo anche strumenti finanziari innovativi.”