La cerealicoltura meridionale e lucana sono in ginocchio: da giorni le quotazioni reali del grano duro sono scese persino sotto i 20 euro al quintale contro i 35 euro al quintale della campagna cerealicola 2015. Alla Borsa Merci di Foggia – che è il punto di riferimento più importante per il Sud – le quotazioni oscillano tra i 20-21 euro al quintale. Al di sotto dei 30 euro al quintale, i produttori non riescono a sostenere i costi di produzione. E si ha notizia che ci sono stati carichi di grano lucano rispediti indietro in azienda e in qualche caso con il tentativo speculativo di comprare a 18 euro al quintale.A riferirlo è Leonardo Moscaritolo responsabile nazionale del GIE (Gruppo Interesse Economico) cerealicolo e dirigente regionale della Cia.
“Parlare di crisi – aggiunge – è un eufemismo. I nostri produttori cerealicoli non riusciranno nemmeno a pagare i contributi Inps dovuti che scadono il 16 luglio prossimo. Ci vorrebbero 40 ha di coltivazione con una media di 100 euro ad ettaro di guadagno per pagare la rata”.
Secondo l’organismo nazionale della Cia, che attraverso gli uffici del territorio sta monitorando la situazione della campagna d raccolta dell’oro giallo, la situazione è diventata paradossale non solo perché la produzione quest’anno è aumentata con qualità di grani sempre più eccellenti ma al porto d Bari ogni giorno si scarica grano proveniente dall’estero; negli ultimi giorni è arrivato grano australiano.
“Altro che difesa del “made in Italy” o di “brand Italia” per l’agro-alimentare, qui – dice Moscaritolo – siamo di fronte all’ennesimo e gravissimo caso di attacco ad un prodotto simbolo. La pasta italiana e con essa la cottura perfetta, vanto della pastasciutta all’italiana, tra qualche anno sarà solo un bel ricordo se i pastifici continueranno a lavorare grano estero”.
La Cia riferisce che già da qualche anno cresce la tendenza di imprenditori agricoli a non seminare, una scelta che dipende dalle quotazioni basse del grano e dal fattore costi, soprattutto visto che oggi i prezzi di mercato, caratterizzati da una crescente volatilità, non riescono a compensare gli oneri da fronteggiare. I costi produttivi in costante aumento (più 4,4 per cento all’inizio dell’anno, di cui più 6,4 per cento solo per i carburanti) – si evidenzia – hanno portato gli imprenditori del settore al netto rialzo (pari al più 19,1 per cento) dei terreni lasciati a riposo. Tanto più nell’ambito dei cereali, dove -nonostante gli aumenti di listino- il prezzo di grano duro e grano tenero pagato agli agricoltori italiani resta tutt’ora tra i più bassi del mondo.
“Il nuovo Piano Cerealicolo deve ancora essere approvato in via definitiva e, successivamente, dovrà essere applicato, nel frattempo i produttori si trovano in una situazione peggiore di quella già vissuta un anno fa. E’ necessario che il governo mostri la volontà, e abbia la necessaria determinazione, di intervenire anche in assenza di un piano nazionale di settore. Bisogna sostenere la redditività degli agricoltori”.
Per la Cia “il settore necessita di una diversa organizzazione di filiera, attraverso il sostegno della qualità, della ricerca applicata al settore agroalimentare, tutti elementi che possono aumentare il potere contrattuale della produzione rispetto alle industrie di trasformazione”. “Senza provvedimenti, per rientrare almeno dei costi di produzione, gli agricoltori saranno costretti a investire meno e quindi a realizzare un prodotto meno qualitativo. Se questo dovesse accadere, a perderne sarebbe tutto il sistema agricolo italiano”.
Nell’immediato la GIE-CIA rivendica un tavolo nazionale al Ministero delle Politiche Agricole e un tavolo in Regione.
Giu 30