Nella Giornata Mondiale della pasta che si celebra domenica 25 ottobre il Centro Studi Turistici Thalia – che si occupa di monitorare le nuove tendenze della ristorazione locale – individua due testimonial che riescono ad interpretare, anche perchè di generazioni diverse, il significato e il valore della pasta nella cucina lucana. Sono Matilde Iungano, protagonista di AgriChef l’ultima iniziativa di Turismo Verde-Cia e Daniela Manelli interprete di Cucina di strada in salsa lucana.
Qualche dato sul “pianeta pasta” di cui come lucani siamo i primi consumatori in Italia: siamo la regione “più pastaiola” con una punta di consumo negli ultimi anni di 44 kg pro capite, che divisi per i 365 giorni dell’anno, fanno 76 grammi al giorno, la quantità minima di un piatto di spaghetti, rispetto alla media nazionale di 28 kg pro capite. Con quasi 3,5 milioni di tonnellate prodotte nel 2014, l’Italia è il leader del mercato mondiale della pasta, tanto che un piatto di pasta su 4 (24%) mangiato nel mondo viene prodotto dai pastifici nazionali. In 15 anni l’export di pasta italiana è cresciuto complessivamente di circa il 50%, +3,6% nel 2014 rispetto al 2013. Oggi l’Italia esporta il 57% della produzione nazionale – circa 2 milioni di tonnellate, per un controvalore di 2 miliardi di euro – contro il 54% di 5 anni fa. In crescita gli ‘Italian pasta lovers’ anche nei Paesi emergenti: si segnalano con Russia (+11,5%), India (+15,4%) e, soprattutto, la Cina (+37,9%)
La pasta non solo è il piatto più ‘glocal’ del made in Italy alimentare, ma ha tutte le caratteristiche per rispondere alle complessità e all’incertezza dello scenario alimentare mondiale. Inoltre, il suo modello produttivo è efficiente anche dal punto di vista della gestione delle risorse naturali, e pertanto con un contenuto impatto ambientale. Per esempio, il suo packaging permette un recupero al 100% dei materiali d’imballaggio e la sua impronta ecologica è minima: 1 m² globale per una porzione da 80 grammi. Per tutte queste ragioni, la pasta supera ogni frontiera e merita ulteriore sviluppo, conoscenza e diffusione.
Sono soprattutto le numerosissime donne ai fornelli delle cucine delle nostre aziende di ospitalità rurale – sul modello di Matilde Iungano che oltre ad essere presidente di Donne in Campo Cia e lei stessa chef – i primi custodi di questi valori e portano sulle tavole un menù autenticamente contadino dove non possono mancare i fagioli di Sarconi, proposti in tanti piatti diversi, i cruschi di Senise, i formaggi locali, la pasta in casa, le verdure di stagione e la carne podolica. Dal campo al piatto non è uno slogan, ma un’esigenza alimentare da un lato per assicurare cibo sano e corretta nutrizione e dall’altro un modo per far comprendere il valore anche culturale dell’agricoltura”.
E pi c’è l’esempio della giovane generazione – nel simbolo di Daniela Manelli che con la brigata di Effess strett food lucano ha fatto impazzire i romani con Il “cuscio” (il panino con il crusco igp di Senise e tocchetti di baccalà simpaticamente ribattezzato per l’evento della capitale) – ma che propone tutti i giorni il piatto di pasta. Ricette legate alla tradizione italiana, da consumare nei momenti di socializzazione o tra un impegno e l’altro, con una spiccata attenzione all’origine delle materie prime e all’aspetto salutistico. Con la missione di rivitalizzare (anche con i sapori) il centro storico e di farci tornare a vivere giovani e meno giovani. E l’attenzione all’alimentazione di qualità, a partire dalla consapevolezza dell’origine dei prodotti, non riguarda più pochi maniaci dell’etichetta ma abbraccia anche la curiosità sul cibo da sempre considerato più popolare. Quello degli ambulanti, dei panini e del fritto da strada.
Si è assistito negli ultimi anni all’inversione di Feuerbach. Non siamo più ciò che mangiamo, ma mangiamo ciò che siamo. Omologati, globalizzati, stressati dalla percezione di un tempo che si restringe sempre di più. Questo ha portato allo strabismo gastronomico: da una parte la cucina -come l’avrebbe definita Artusi- di parata operata spesso dai “cuochi d’artificio”, quelli che badano più all’apparenza che alla sostanza, dall’altra una cucina sempre più standardizzata dove più che il sapore conta il prezzo. Eppure nei consumatori è cresciuta la consapevolezza che la cucina ha un valore culturale e identitario, che la nostra salute dipende in larga misura da come ci alimentiamo e che la dieta mediterranea -riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco- è il regime alimentare più equilibrato e sano. Così se da una parte è in declino la cucina degli effetti speciali, dall’altra emerge il bisogno di chi siede a tavola della cucina dell’esperienza e della buona sostanza. Per questo abbiamo bisogno di testimonial che trasferiscono la passione nel cucinare la pasta.
Ott 25