Alla denuncia della Cia-Agricoltori Puglia – nelle ultime settimane, le quotazioni del grano duro nelle Borse di Bari e Foggia (che sono quelle di riferimento anche per i cerealicoltori lucani) hanno registrato fra i 480 e i 500 euro a tonnellata, mentre quello spagnolo importato, sia inferiore per peso specifico e per contenuto proteico (12%), è più quotato di quello pugliese – si aggiunge l’analisi del lucano Leonardo Moscaritolo, presidente nazionale del Gruppo di interesse economico (Gie) cerealicolo di Cia.
“Sui mercati cerealicoltori tra i tanti – dice Moscaritolo – pesano principalmente tre fattori: la diminuzione di produzione italiana, la crescita di importazione di grani esteri (oltre lo spagnolo, canadese, statunitense ed australiano), la bassa redditività per i produttori. In Italia – aggiunge – la produzione prevista era di circa 4 milioni di tonnellate, invece il raccolto sembra essere inferiore di circa 200.000 tonnellate. Inoltre, a livello mondiale c’è molta attesa per le produzioni canadesi, ma la siccità potrebbe portare un significativo calo delle rese. La prospettiva di minori rese sta portando gli stoccatori ad accaparrarsi la materia prima, gli agricoltori a non vendere in questa fase di rialzo dei listini e la spirale si avvita sempre di più. Altro fattore negativo è rappresentato dai troppi passaggi commerciali. Più se ne fanno, meno è la trasparenza e più forti sono le speculazioni. Sicuramente serve un processo di modernizzazione dell’intera filiera. Ricordo che a presto, per l’indicazione dei prezzi, partirà la Commissione Unica Nazionale (CUN) con la partecipazione di tutti i protagonisti della filiera e di Borsa Merci Telematica, uno strumento che potrebbe essere molto utile in termini di trasparenza. Impossibile non analizzare come ad oggi, il margine di guadagno resti sempre troppo sbilanciato verso gli anelli finali della filiera. Se all’agricoltore rimane non più del 13% del valore del prodotto, è inevitabile che vi siano squilibri, che le superfici coltivate diminuiscano, che quando i prezzi sono alti i produttori cerchino di non vendere per innescare ulteriore tensione. Se, al contrario, la filiera avesse un approccio più etico, con un’equa distribuzione della redditività potremmo ragionare su prospettive diverse”.
“Il frumento duro coltivato in Italia – continua Moscaritolo, da alcuni anni componente del settore cereali del Copa-Cogeca e del gruppo di dialogo civile della Direzione Generale Agricoltura della Commissione Europea – dovrebbe garantire un valore aggiunto superiore, anche se le pressioni dei commercianti verso prodotti ad elevato tenore proteico stanno mettendo in difficoltà la cerealicoltura del Sud. Con Agrinsieme, Union Food, Italmopa. Assosementi, l’Università della Tuscia abbiamo avviato un percorso molto interessante per innalzare la qualità e dare risposte concrete all’industria molitoria e della pasta, siamo fiduciosi. Potrebbero aiutare il rilancio anche i finanziamenti concessi alle filiere da parte del ministero delle Politiche agricole, purché si ritrovi quella puntualità nei pagamenti da parte del sistema pubblico che per gli imprenditori agricoli è essenziale”.
Purtroppo si è sempre fatta la pasta con le miscele di grano duro di diversa provenienza, dal Canada agli Stati Uniti, all’Australia. Credo che il tema non sia il mito un’autosufficienza irraggiungibile per l’Italia, ma della trasparenza in etichetta. Se parliamo di pasta 100% italiana, allora serve il grano coltivato in Italia e giustamente retribuito agli agricoltori. L’etichettatura obbligatoria va nella giusta direzione”.