Come superare le criticità del rapporto donna e lavoro al sud grazie alle ingenti risorse messe a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ma anche dalla programmazione del nuovo ciclo di fondi europei 2021-2027. È stato questo il tema al centro
della tavola rotonda “Il lavoro delle donne nel post pandemia tra Pnrr e fondi europei”, promossa oggi a Potenza in occasione dell’8 marzo da Cgil, Cisl e Uil Basilicata. Nell’ incontro a più voci sono intervenuti Anna Russelli, segreteria Cgil Basilicata, Luana Franchini segreteria Cisl Basilicata, Sofia di Pierro, segreteria Uil Basilicata, Canio Alfieri Sabia, direttore generale del dipartimento Politiche del lavoro della Regione Basilicata, Francesco D’Alema, vice presidente Confindustria Basilicata e, in streaming, il direttore Svimez Luca Bianchi.
Ad aprire i lavori Anna Russelli che, oltre a rivolgere un pensiero di solidarietà alle donne ucraine che subiscono la guerra, ha sottolineato come questa nuova fase all’interno dell’Unione Europa avrà dei riverberi anche sugli obiettivi che il Pnrr si propone di raggiungere nell’abbattimento della disparità di genere. “La nuova fase che vive l’Unione – ha detto Russelli – apre a scenari imprevedibili, che ancora non sappiamo quali cambiamenti potranno determinare anche rispetto a questo punto e alla implementazione del Pnrr stesso. La valutazione che noi sindacati fino a questo momento abbiamo dato del Pnrr rispetto alle politiche per il superamento delle disparità di genere è comunque di delusione rispetto alle aspettative delle donne e a schemi e politiche già viste. Un piano straordinario con risorse imponenti – continua Russelli – avrebbe dovuto puntare a risultati ambiziosi e significativi per l’occupazione femminile come prendere a obiettivo il tasso medio europeo che si attesta oltre il 60% a fronte del 49% italiano (Mezzogiorno e isole 33%). Per imporre un deciso cambiamento sarebbe stato necessario un investimento straordinario nei servizi educativi per la fascia 0-6 anni, mentre il Pnrr si pone come obiettivo quel 33% di servizi individuato oltre 20 anni fa dalla strategia di Lisbona. Assenti le misure che dovrebbero incidere sull’aspetto culturale della segregazione occupazionale femminile, mentre sul congedo di paternità obbligatorio ci si accontenta del recente aumento a 10 giorni, lontanissimi dalle 16 settimane spagnole, dai modelli scandinavi ma anche da quello tedesco e dai 28 giorni francesi. Il Pnrr – conclude Russelli – conferma poi come settori a privilegiata occupazione femminile siano quelli del lavoro di cura e dell’assistenza, della ristorazione, del turismo, della cultura. Complessivamente manca il presupposto che, per superare una condizione di diseguaglianza consolidata, vanno introdotte discriminazioni positive senza le quali le differenze esistenti non spariscono, anzi, si consolidano”.
Ha proseguito Luana Franchini: “Mai come in questi giorni stiamo riflettendo sul valore e sull’ essenza della democrazia, ebbene una democrazia vera e matura è una democrazia paritaria, possiamo affermare che nel Mezzogiorno la questione femminile è anche questione di democrazia, poiché il divario di genere coincide con il divario territoriale, la media dell’ occupazione femminile in Europa è pari al 63 per cento, nel centro nord Italia è del 59%, al Sud è del 33%, in Basilicata del 35%. Immaginiamo che tipo di società è quella in cui più della metà delle donne lavora, e una in cui lavora solo una donna su tre nella fascia 15-64, possiamo definirla una società davvero inclusiva e democratica? Al basso dato occupazionale femminile – sottoliena Franchini – si aggiungono poi i quasi 23mila neet con meno di 29 anni di cui la metà sono donne. La Basilicata è al 18esimo posto, quindi in fondo alla classifica, per posti in asili nido con 14 posti ogni 100 bambini 0-2 anni e questi pochi posti sono anche più costosi se pensiamo che in Basilicata si dedicano circa 4mila euro per la spesa per asili a fronte di 5mila della media italiana. Il problema delle donne e del mercato del lavoro – conclude Franchini – non è solo un problema occupazionale, non basta contare quante donne e quanti uomini sono occupati, ma occorre esplorare le dimensioni sociali, economiche e culturali che sono alla base del fenomeno. Una maggiore inclusione delle donne rappresenta una ricchezza e un valore che ricade sull’intera collettività. Per valorizzare questo potenziale occorre uno sforzo sinergico, che coinvolga tutte le dimensioni del problema, dalle politiche agli aspetti socio-culturali. L’assenza di sinergia rischia di ridurre l’efficacia degli interventi”.
Per Sofia Di Pierro, infine, “investire sul lavoro, sulle donne, sulle persone, è il salto culturale che ci aspettiamo: mettere al centro le persone, indistintamente e senza categorie per riconoscere a tutti gli stessi diritti, le stesse tutele, le stesse opportunità per un futuro più inclusivo ed equo. Più volte come Uil abbiamo definito la pandemia un moltiplicatore di disuguaglianze sociali. Ma c’è chi queste disparità le subiva già prima della pandemia e continua a subirle più di altri. Pensiamo a quanto riferisce la relazione sulle convalide delle dimissioni dell’Ispettorato del lavoro 2020: i provvedimenti di convalida – fa sapere Di Pierro – hanno interessato nel 73% dei casi lavoratrici madri. Una relazione che ha suscitato non poco scalpore ma che non ha detto niente di nuovo rispetto a quella dell’anno precedente o rispetto a qualunque altro studio fatto su questo tema negli ultimi dieci anni: in Italia, purtroppo, essere madre è una condizione di svantaggio. Per anni – aggiunge Di Pierro – l’alibi è stato l’assenza di risorse. Le risorse ora ci sono e sono i cospicui fondi comunitari e del Pnrr. Ma servono competenze, progettualità, condivisione e soprattutto la reale volontà politica di non fermarsi al commento dei dati ma di agire realmente per porvi rimedio. Gli ultimi dati Istat riferiscono che il nostro tasso di occupazione è fermo da 3 mesi al 59,2% e sta crescendo la quota di inattivi. Ma quello che ci preoccupa – conclude Di Pierro – è la composizione dell’occupazione, in quanto resta bassa la percentuale di donne che lavorano: solo la metà delle donne in età da lavoro ha un’occupazione e il nuovo anno parte con una diminuzione di 77mila lavoratrici, a fronte di una crescita dell’occupazione maschile. A pesare è soprattutto l’alto numero di inattive (circa il doppio degli uomini), di precarie, di part-time, ed è facile immaginarne i motivi. Da gennaio a settembre 2021 sono stati sottoscritti in Basilicata circa 43mila nuovi contratti di lavoro, di questi 24mila a termine e solo 6mila a tempo indeterminato, di cui 1.600 per le donne e 4.400 per gli uomini”.