Anche dalle nostre parti sta prendendo piede l“home restaurant”, fenomeno strettamente legato al “social eating”, voglia di scoprire qualcosa di più sulle tradizioni gastronomiche locali e contemporaneamente socializzare.
Ma ciò, da fenomeno di costume, si è presto trasformato in un business svolto dagli host (padroni di casa) che propongono data, menù e prezzo attraverso il passaparola, vere e proprie agenzie, sms o internet; gli ospiti (guest) attratti dalla proposta, inviano una richiesta di partecipazione alla serata, e pagano la cifra stabilita dal proprietario di casa.
Finora tutto ciò si è svolto fuori da ogni regola di diritto, in un ambito totalmente libero da un punto di vista amministrativo e fiscale, ma era ovvio che, quanto più un’occasione di puro intrattenimento assume i contorni di una vera e propria attività economica, tanto più necessita di una disciplina.
Per tali motivi, il Ministero dello sviluppo economico, rispondendo al quesito posto da una Camera di commercio, che chiedeva informazioni inerenti l’apertura e la gestione di un’attività che si caratterizza per la preparazione di pranzi e cene presso un domicilio privato in giorni dedicati e per poche persone, trattate come ospiti personali ma paganti, ha emesso una Risoluzione (n. 50481, del 10 aprile 2015) che attualmente offre l’unica possibile chiave di lettura del fenomeno “home restaurant” dal punto di vista del trattamento giuridico.
La nota, inviata ai Ministeri dell’Interno e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, nonché alla Regione interessata, fornisce determinazioni al riguardo e rimane l’unica linea di indirizzo applicabile per i Comuni e gli interessati all’avvio di un’attività di “home restaurant”.
In definitiva, in linea con quanto affermato dal Ministero, per avviare un’attività di “home restaurant” occorrerà:
– presentare i requisiti di onorabilità per l’esercizio di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande;
– acquisire i requisiti professionali per la somministrazione di alimenti e bevande;
– presentare una SCIA o, per le zone tutelate soggette a programmazione, una richiesta di autorizzazione.
Fino a qui l’interpretazione ministeriale: ma, spingendosi oltre, si dovrebbe aggiungere che, trattandosi di attività a tutti gli effetti disciplinata dalle norme in materia di somministrazione di alimenti e bevande, l’interessato dovrebbe anche rispettare la normativa urbanistico edilizia e quella igienico-sanitaria.
E ciò porta con sé anche che, fino ad un’eventuale diversa disciplina, l’attività andrebbe considerata attività d’impresa, con l’obbligo di iscrizione al Registro delle imprese e gli adempimenti di tipo fiscale e contributivo.
In mancanza, l’attività esercitata dovrebbe essere considerata abusiva, con l’applicazione delle consequenziali sanzioni.
Giu 16