“L’indice del rischio di usura, che secondo i calcoli dell’ufficio studi Cgia,in Basilicata raggiunge quota 133,2 (33,2 per cento in più della media Italia) e la denuncia sul fatto che nel 2014, la Campania, la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Basilicata sono state le realtà dove la “penetrazione” di questa piaga sociale/economica ha raggiunto i picchi maggiori, devono riaccendere le iniziative della rete legalità ed antiusura messa in campo dalle associazioni di categoria delle pmi le più esposte alla piaga usura”. Lo sostiene una nota di Confesercenti Potenza a firma del presidente Prospero Cassino.
Il dato della Cgia – si evidenzia nella nota – è particolarmente allarmante perché l’indice del rischio usura è stato calcolato mettendo a confronto alcuni indicatori regionalizzati riferiti prevalentemente al 2014: la disoccupazione, le procedure concorsuali, i protesti, i tassi di interesse applicati, le denunce di estorsione e di usura, il numero di sportelli bancari e il rapporto tra sofferenze ed impieghi registrati negli istituti di credito.
Per Sos Impresa-Confeserenti e Rete per la legalita’, racket, pizzo e usura, ovvero il ‘ramo commerciale’ delle mafie che incide direttamente sul mondo dell’impresa, valgono 100 miliardi di euro, pari a circa il 7% del pil nazionale. Si tratta del principale business della criminalità organizzata, se si considera che la ‘Mafia spa’ fattura annualmente circa 138 miliardi per un utile di 78 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti. Sono oltre un milione gli imprenditori, un quinto di quelli attivi, vittime di almeno uno dei circa 1.300 reati che le imprese subiscono ogni giorno, su 2,5 milioni di reati complessivi commessi.Circa 200mila sono i commercianti colpiti dall’usura, rileva Sos Impresa, per un giro d’affari di 20 miliardi destinato a crescere ulteriormente in questo periodo di crisi economica. Ma e’ incoraggiante che a crescere siano state anche le denunce, con un aumento del 15% dal 2011 al 2012 e un trend invariato per il 2013: secondo le stime, gli “strozzini” in attività sono 40mila, e 1.000 vengono denunciati ogni anno.Quanto alle estorsioni, il ‘pizzo’ non passa mai di moda come testimoniano le oltre 6mila denunce per racket e i circa 25mila estortori denunciati. Il problema evidenziato dalle associazioni e’ che “l’imprenditore vittima di usura o racket e’ costretto al fallimento, perchè il primo limite delle attuali leggi e’ quello della mancata convenienza a denunciare: se dal punto di vista penale l’imprenditore riesce a far arrestare i propri aguzzini, da quello civile le procedure determinano un peggioramento delle condizioni di vita dell’azienda”.
Per la Rete per la legalità (che raccoglie più di 50 associazioni in tutto il territorio azionale, tra le quali quella che ha sede a Potenza presso la Confesercenti provinciale) è necessario riportare al centro dell’agenda di Governo: la riforma della legge 108/96, inasprimento delle pene per i reati di usura, aiuti più rapidi alle vittime, lotta al gioco d’azzardo illegale, solo per citarne alcuni. Questi temi partono da una analisi lucida e profonda che la crisi ha determinato nel tessuto delle Pmi e delle famiglie. La crisi- continuano da Rete per la legalità- non si può battere solo sul terreno economico e finanziario, ma è necessario mettere al centro anche il rema dei costi sociali che derivano dall’economia illegale e creano concorrenza sleale Siamo soddisfatti dall’incontro di oggi, perché abbiamo trovato un interlocutore interessato nelle istituzioni”.
La stretta creditizia sulle Pmi c’è ed è reale. Si tratta di una questione di primo piano per l’intero sistema economico regionale: come spesso viene ripetuto, le micro, piccole e medie imprese costituiscono il 99% delle aziende, e sono responsabili dell’80,3% dell’occupazione del settore privato. Come evidenzia la Svimez – sottolinea Cassino – nonostante i Confidi abbiano intrapreso negli anni importanti processi di razionalizzazione, nel Mezzogiorno la situazione resta ancora critica per effetto delle loro ridotte dimensioni, minore liquidità, maggiore esposizione al rischio. I Confidi meridionali non sembrano al momento in grado di supportare efficacemente le piccole e medie imprese, che continuano a lamentare le difficoltà di accesso al credito. Serve quindi con urgenza una riorganizzazione del settore, che con l’aiuto anche di contributi pubblici agisca sul miglioramento strutturale dei Confidi e sulla loro efficienza gestionale.