La volontà annunciata da Amazon di insediare un polo logistico in Basilicata ha innescato, in concomitanza della campagna elettorale, un dibattito del tutto propagandistico su quale sia l’area migliore tralasciando i temi principali: diritti dei lavoratori, tutele ambientali, inflazione, tasse.
Nel 2019 la democratica Alexandria Ocasio-Cortez – protagonista in queste ore di un’efficace campagna di comunicazione sulla tassazione dei ricchi – si scontrò duramente contro la volontà di Amazon di voler costruire il proprio secondo quartier generale sulla East Coast, facendo cadere la scelta su New York e precisamente su Long Island City nel Queens. Ocasio vinse quella battaglia che metteva al centro lo sviluppo di un quartiere disagiato come il Queens, affinché i soldi degli sgravi fiscali venissero utilizzati per risolvere i problemi atavici della periferia di una metropoli e non per agevolare una multinazionale che sfrutta i lavoratori e ne impedisce la sindacalizzazione (Alabama).
Nel 2020 la sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo, lanciata a sfidare Macron e Le Pen alle prossime presidenziali, promosse una campagna di sensibilizzazione volta a correggere le storture dell’e-commerce durante la pandemia.
Pochi giorni fa Amazon ha aperto una sede nel bel mezzo di una baraccopoli di Tijuana, in Messico (la diapositiva allegata aiuterà a comprendere). Un luogo strategico per la logistica in quanto al confine con gli USA. Qui le condizioni di vita sono di assoluta povertà e, secondo Reuters, i lavoratori assunti da Amazon sono costretti ad orari massacranti e vengono schiacciati dal solito ricatto: o lo stipendio (misero) o la povertà.
E la Basilicata? Non siamo a New York, Parigi o Tijuana, parliamo di una regione spopolata ed economicamente depressa in un territorio, il Sud Italia, altrettanto in difficoltà. Forse, in un contesto del genere, Amazon potrebbe portare dei benefici. Ma chi si occuperà di guidare questo processo? La politica in Basilicata, in queste ore, si affanna nel convincere sé stessa e i cittadini che la multinazionale deve aprire ad ogni costo e deve farlo proprio in quel territorio piuttosto che in quell’altro. Anche perché ci sono le elezioni.
Nessuno si preoccupa di comprendere con quale approccio Amazon vorrà leghersi alla Basilicata. L’assessore (ex) Cupparo non ha detto nemmeno per sbaglio “in Basilicata si apre a queste condizioni”. Nessuno ha chiesto quali tutele verranno riservate ai lavoratori o in che contesto ambientale e sociale si pensa di radicare il colosso di Bezos. In che modo questo può essere parte di un più grande modello di sviluppo che non arricchisca la multinazionale e basta, ma che possa diventare un volano di progresso e crescita per un territorio in grande affanno come la Basilicata o per ripopolare le aree interne, per trattenere le migliori energie, per garantire il diritto a restare. Nessuno, per intenderci, si è confrontato con le parti sociali o con le amministrazioni. Non Amazon, non il governo regionale.
Per fortuna, proprio questa mattina, il Ministro del Lavoro Andrea Orlando è riuscito a far sedere allo stesso tavolo le forze sociali e la multinazionale americana e siglando un accordo. Un evento che difficilmente vedremo a stretto giro in altri Paesi avanzati. Amazon accetta il confronto secondo le discipline contrattuali in vigore, riconosce la rappresentanza collettiva e il ruolo del sindacato. Un traguardo importantissimo con pochi altri esempi a livello mondiale.
È questo il lavoro che anche in Basilicata bisogna portare avanti: legare lo sviluppo del territorio ai diritti sociali. Vigilare affinché non si verifichino mai più condizioni di sfruttamento. Riaffermare costantemente i diritti acquisiti. Accompagnare la tutela dell’ambiente allo sviluppo industriale. Includere i cittadini in un processo di crescita per evitare le storture economiche che possono celarsi dietro insediamenti di questo tipo.