La Commissione dell’Unione Europea ha inviato una diffida all’Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari previsto storicamente dalla legge nazionale. In pratica l’Unione Europea vuole imporre all’Italia di produrre “formaggi senza latte” ottenuti con la polvere. Lo rende noto la Coldiretti di Basilicata nel denunciare i contenuti della lettera di costituzione in mora appena inviata dal Segretariato generale della Commissione Europea alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea sull’infrazione n.4170.
Per il Presidente Regionale della Coldiretti di Basilicata Piergiorgio Quarto “Siamo alle solite. L’Unione Europea dimostra ancora una volta di difendere solo le lobby, costringendoci ad abbassare il livello di eccellenza qualitativa delle nostre produzioni, mentre non decide su problematiche come l’immigrazione”.
Dal 11 aprile del 1974 con la legge n. 138, l’Italia ha deciso di vietare l’utilizzo di polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale.
“Questa misura” continua Quarto “ha avuto ed ha l’obiettivo di difendere la qualità delle produzioni casearie italiane grazie alla qualità delle materie prime, e di salvaguardare le attese consumatori su autenticità ed eccellenza delle produzioni. Una scelta che ha garantito fino ad ora il primato della produzione lattiero casearia italiana famosa in tutto il mondo, dove le esportazioni di formaggi e latticini sono aumentate in quantità del 9,3 per cento nel primo trimestre del 2015”.
La Commissione Ue con l’avvio della procedura di infrazione ritiene invece che la legge italiana a tutela della qualità della produzioni rappresenti una restrizione alla “libera circolazione delle merci”, essendo la polvere di latte e il latte concentrato prodotti utilizzati in tutta Europa. In altre parole impone un adeguamento al ribasso con una diffida che, se accolta, comporterà uno scadimento della qualità dei formaggi e degli yogurt italiani che metterà a repentaglio la “reputazione” del Made in Italy, ma anche una maggior importazione di polvere di latte e latte concentrato che arriverà da tutto il mondo a costi bassissimi, con conseguenze pesanti sulla tenuta degli allevamenti italiani.
Si tratta in realtà solo dell’ultima trovata delle burocrazie dell’Unione Europea da dove sono arrivate incomprensibili decisioni sulla tavola che allontanano cittadini e imprese dall’Europa, dal vino senza uva al cioccolato senza cacao fino alla carne annacquata, ma sul mercato c’è anche il vino zuccherato e quello in polvere mentre circa la metà della spesa è anonima.
L’Unione Europea consente anche per alcune categorie di carne la possibilità – continua la Coldiretti – di non indicare l’aggiunta d’acqua fino al 5 per cento, ma per alcuni prodotti (wurstel, mortadella) tale indicazione può essere addirittura elusa e potrebbero essere esclusi dagli obblighi di indicazione della quantità d’acqua, mentre in tutta Europa circolano liberamente imitazioni low cost del Parmigiano reggiano e del Grana Padano, cosiddetti “similgrana”, realizzate fuori dall’Italia senza alcuna indicazione della provenienza e con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine. Una mozzarella su quattro in vendita in Italia – precisa la Coldiretti – è stata ottenuta con semilavorati industriali, chiamati cagliate, che vengono dall’estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea.
Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” previste dalla normativa comunitaria per far conoscere la provenienza delle olive ai consumatori. Storica l’imposizione all’Italia dell’Unione di aprire i propri mercati anche al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao.
Quasi la metà della spesa – continua la Coldiretti – è anonima per colpa della contraddittoria normativa comunitaria che obbliga a indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, ma non per i prosciutti, per l’ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Il risultato è che – conclude la Coldiretti – gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta come pure la metà delle mozzarelle.
I DIKTAT DELL’EUROPA A TAVOLA SECONDO LA COLDIRETTI
– Senza latte in Italia una mozzarella su quattro – Una mozzarella su quattro in vendita in Italia è stata ottenuta con semilavorati industriali, chiamati cagliate, che vengono dall’estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea.
– I formaggi dalla polvere – L’Unione Europea – sostiene la Coldiretti – chiede all’Italia di non vietare l’utilizzo di polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale.
– Il similgrana low cost senza indicazione di provenienza – Nell’Unione Europea è permessa la vendita imitazioni low cost importate dall’estero del Parmigiano reggiano e del Grana Padano senza alcuna indicazione della provenienza e con nomi di fantasia che ingannano i consumatori.
– Il vino allo zucchero – L’Unione Europea consente ai paesi del Nord Europa di aumentare la gradazione del vino attraverso l’aggiunta di zucchero. Lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei paesi del Mediterraneo e in Italia, che ha combattuto una battaglia per impedire un “trucco di cantina” e per affermare definitivamente la definizione di vino quale prodotto interamente ottenuto dall’uva.
– Wine kit – il vino dalla polvere – L’Unione Europea – afferma la Coldiretti – permette la vendita di pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua.
– La microetichetta dell’olio – Sulle bottiglie ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” per riconoscere gli oli importati.
– La carne annacquata – L’Unione Europea consente per alcune categorie la possibilità di non indicare l’aggiunta d’acqua fino al 5%. Ma per wurstel e mortadella tale indicazione può essere addirittura elusa, anche se il contenuto di acqua supera tale percentuale, secondo la nuova normativa comunitaria definita con il Reg. 1169/2011 dell’Unione.
– Il cioccolato senza cacao – L’Unione Europea ha imposto all’Italia di aprire i propri mercati anche al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao.
– 2 prosciutti su 3 sono stranieri ma non si vede – Più di due prosciutti su tre consumati in Italia sono ottenuti – conclude la Coldiretti – da maiali stranieri, ma il consumatore non lo sa perché in etichetta non è obbligatorio indicare la provenienza. Una mancanza di trasparenza che in realtà riguarda quasi la metà della spesa, dai formaggi alla frutta conservata fino al latte.
Latticini e formaggi senza latte, nota CIA: da Unione europea “mazzata” per prodotti lucani
“Come se non bastasse la concorrenza illegale contro la produzione dei formaggi lucani che aderiscono ai Consorzi di tutela (Pecorino di Filiano DOP, Canestrato di Moliterno IGP e Caciocavallo Silano DOP), vale a dire la libera circolazione nei supermercati di prodotti contraffatti, il diktat dell’Unione Europea che vuole obbligarci a produrre latticini e prodotti caseari di diverso genere senza l’uso di latte è una nuova “mazzata” ai nostri prodotti lattiero-caseari di punta, i formaggi freschi a pasta filata, come i formaggi stagionati, caciocavallo, canestrato e pecorino, su tutti”. E’ quanto afferma la Cia di Basilicata in una nota a firma di Luciano Sileo, responsabile Ufficio Zootecnia-latte della confederazione. In Basilicata – riferisce la Cia – la trasformazione del latte vede coinvolte 135 aziende lattiero-casearie distribuite con una maggiore incidenza nel Potentino (90 aziende) rispetto al Materano (45), ed organizzate in maniera da presentare all’interno della propria struttura ogni fase della filiera a partire dall’allevamento (46% delle aziende lattiero casearie censite dall’Alsia). La produzione lorda del latte in Basilicata nel 2012 ammonta ad oltre 28 Meuro, pari al 21% dell’intera produzione lorda attribuibile al settore della zootecnia (circa 162 Meuro), di cui 19,3 Meuro sono attribuibili al latte di vacca e di bufala (quest’ultimo allevamento è però poco diffuso in Basilicata) e 8,9 Meuro derivano dalla vendita del latte di pecora e di capra.
«In un momento in cui il rapporto fra il prezzo del latte alla stalla e il suo costo di produzione ha raggiunto livelli inaccettabili per gli allevatori, l’Europa vara una misura che permette l’utilizzo di latte in polvere nella produzione di derivati. Tutto ciò mentre le aziende zootecniche che ancora oggi continuano a produrre –aggiunge Sileo- sono, certamente, quelle più efficienti e maggiormente orientate al mercato e la cui crescita, registrata in questi difficili anni, è un segnale di fiducia nella tenuta del settore. Il latte fresco – come quello lucano che viene conferito a grandi e prestigiose imprese nazionali – è già quasi tutto ottenuto a partire da latte crudo proveniente da allevamenti italiani. Pochi forse sanno che il latte fresco del marchio prestigioso è di provenienza da stalle della Val d’Agri o del Melandro o della Collina Materana. Il fresco non può viaggiare molto, deve essere confezionato entro 48 ore e quindi giocoforza le industrie devono fare ricorso ai produttori locali. Il problema vero è conoscere l’origine del latte importato (8,6 milioni di tonnellate) utilizzato nelle produzioni di latte UHT o per preparare mozzarella e formaggi venduti come “made in Italy”. Il settore lattiero-caseario è una colonna portante dell’economia agroalimentare nazionale e lucana : l’Italia annovera circa 35.000 aziende, di cui meno di un migliaio in Basilicata per una produzione (2013) di 184 tonnellate di latte vaccino. E’ perciò necessario dare stabilità al settore definendo un “prezzo del latte” con un contratto semestrale o, al massimo, quadrimestrale, al fine di consentire agli allevatori di poter avviare la programmazione a medio termine”. “La nuova programmazione dello sviluppo rurale rappresenta – prosegue la Cia – un’opportunità da non perdere per avviare programmi di innovazione e investimenti per una zootecnia a basso input energetico. Questa però deve essere anche l’occasione per sviluppare efficaci sistemi di gestione del rischio e stabilizzazione dei redditi”. Di qui “l’attualità di un Piano regionale per il comparto zootecnico, da aggiornare con le misure del nuovo Psr 2014-2020, e di un programma di consolidamento e rilancio del sistema agroalimentare e industriale legato alle produzioni locali tipiche e di qualità.
In Basilicata il sistema di raccolta del latte alla stalla è particolarmente frammentato. La campagna 2010/2011 indica un’evidente prevalenza di imprese private (529) sulle cooperative (89) che, tuttavia, non è abbinata ad un analogo riscontro nei quantitativi di latte raccolto: le imprese cooperative, infatti, ritirano il 14,5% in più del latte raccolto complessivamente dai privati (688.232 t di latte consegnato alle cooperative rispetto alle 600.984 t di latte consegnato ai privati). Il sistema di raccolta di latte bovino fresco attuato nella zona di Bella-Baragiano merita, invece, una attenzione specifica in quanto, rispetto agli standard di raccolta effettuata nelle altre aree del Mezzogiorno e delle Isole, si caratterizza per la presenza di un presidio dell’intera filiera produttiva che consente di attuare, insieme ai produttori, una programmazione mirata, fortemente orientata alla qualità. Analizzando l’evoluzione della struttura della zootecnia da latte nell’arco del decennio considerato, l’andamento regionale indica che a cessare l’attività sono soprattutto le aziende con meno di 50 capi, sebbene la contrazione maggiore si osservi per quelle che detengono meno di 10 capi (Basilicata: -58,5%; Italia: -41,7%). Quanto al numero dei capi, passati da 22.083 unità del 2000 a 22.546 del 2010, è possibile evidenziare una variazione positiva, seppur minima, del 2,1% . Tale andamento, abbinato alla contrazione del numero di aziende, si traduce in un aumento della dimensione media dei capi per azienda: 23,43 capi per aziende nel 2010 contro i 12,78 nel 2000.