Nell’elenco stilato dalla Commissione Europea ci sono 34 materiali “speciali” che saranno sempre più richiesti. Senza una strategia specifica che punti sull’estrazione locale e sul riciclo, l’Italia deve continuare a dipendere dalle importazioni extraeuropee.
Il trading di materie prime
Le materie prime “critiche” diventeranno sempre più importanti e attireranno sicuramente le attenzioni di numerosi investitori. Ma come scambiare materie prime? Il trading di materie prime è un’attività complicata, ma alcune accortezze permettono di minimizzare i rischi. In primis va eseguita un’attenta analisi di mercato, che consideri i fattori economici, politici, sociali, e eventualmente anche meteorologici che possono influenzare l’offerta e la domanda delle materie prime.
Una volta analizzato il mercato, va scelta la materia prima da scambiare in base alle proprie esigenze e risorse, e successivamente è fondamentale stabilire limiti di perdita e di guadagno per non esporsi troppo al rischio di mercato.
A questo punto occorre stabilire un piano di trading prevedendo tempi, importi e obiettivi, e seguirlo senza lasciarsi distrarre dalla pressione o dalla fretta. Bisogna poi monitare costantemente i mercati per individuare le opportunità e osservare tempestivamente eventuali fluttuazioni improvvise. Infine, va ricordato che il trading rimane un’attività rischiosa ed è importante mantenere un approccio razionale e prudente.
Il boom delle materie prime “critiche”
Tra le tante materie prime sulle quali è possibile investire, alcune sono considerate “critiche” secondo una lista stilata dalla Commissione Europea nel 2011 e rivisitata ogni tre anni. Il primo elenco comprendeva solo 14 “materie prime critiche” o “Crm” (dall’acronimo inglese “critical raw materials”), ma con l’ultimo aggiornamento dell’11 aprile 2023 questo numero è salito a 34. Ci sono nomi noti come il litio, il titanio, il cobalto e il magnesio, il fosforo e la grafite, e altri sconosciuti ai più come l’afnio, la barite o il niobio.
Sono materiali già di utilizzo comune nella società moderna, fondamentali per la produzione di numerosi dispositivi (come gli smartphone, che da soli contengono fino a 50 metalli diversi), e il loro impiego non può che aumentare con la transizione ecologica: vengono infatti utilizzati anche nelle auto elettriche, nei semiconduttori e nelle pompe di calore. Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno, ha lanciato l’allerta: “nel 2050 avremo bisogno di 60 volte più litio e 15 volte più cobalto, solo per le batterie elettriche. Avremo bisogno 10 volte di più di elementi delle terre rare”.
Legame tra materie prime e BTP
Le materie prime acquisiscono ancora più valore se si tiene conto della guerra commerciale con la Russia, che influisce sui prezzi al consumo. E se il paniere dei beni aumenta di prezzo, l’effetto si sconta sulla domanda di BTP (Buoni del Tesoro Poliennali), incapaci di compensare con il livello di inflazione. Infatti, la guerra in Ucraina ha aggravato una crisi energetica che già lasciava gravi ripercussioni sul prezzo del gas, e in seguito ha provocato un’altissima volatilità nel settore delle materie prime agricole.
Le materie prime hanno un impatto sull’inflazione e quindi sui tassi di interesse, i quali a loro volta possono rendere i BTP più o meno favorevoli rispetto ad altre forme di investimento. In sintesi, il trading di materie prima influisce sui BTP ma non direttamente, bensì attraverso i suoi effetti sull’economia generale e sui tassi d’interesse.
Il ruolo dell’Italia nel mercato delle commodities
L’Italia ha una presenza significativa nel mercato globale delle commodities grazie alla sua posizione centrale nella catena di approvvigionamento e distribuzione. È uno dei principali importatori di materie prime, come petrolio greggio e gas naturale, ma ha anche una forte presenza nella produzione di alcune commodities come l’olio d’oliva, il vino e il formaggio.
Il problema è che, per quanto riguarda le materie prime critiche, l’Italia dipende in larga misura dalle importazioni extraeuropee, con la produzione concentrata in pochi Paesi. Le terre rare e il magnesio arrivano in Europa per il 97% dalla Cina, il boro per il 97% dalla Turchia, il platino per il 71% dal Sudafrica. Una soluzione può essere quella di avviare nuove estrazioni, ma non sarebbe sufficiente: serve sì una specifica strategia che punti sull’estrazione locale, ma anche un nuovo focus sul riciclo, che può contribuire a ridurre la dipendenza dalle importazioni.