Basilio Gavazzeni, presidente della Fondazione Antiusura di Matera, ha inviato alla nostra redazione il testo di una lettera aperta con cui ringrazia il professor Egidio Basile, Commissario Regionale per coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, per le nuove norme contro tali negatività che ha saputo condurre all’approvazione da parte del Consiglio regionale il 9 giugno scorso. Di seguito la nota integrale.
Ho il dovere di ringraziare il professor Egidio Basile, Commissario Regionale per coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, per le nuove norme contro tali negatività che ha saputo condurre all’approvazione da parte del Consiglio regionale il 9 giugno. Di seguito la minima autopresentazione della Fondazione da lui richiestami in vista di una sobria divulgazione ufficiale. È il caso di comunicarla con larghezza.
La Fondazione Lucana Antiusura Mons. Vincenzo Cavalla vorrebbe essere fedele alla sostanza di una poesia di Borís Pasternàk intitolata “Essere famosi non è bello”.
Purtroppo, già dall’origine, le è toccato divenire favola in bocca di molti. Et pour cause! La notte del 6 maggio 1994, una bomba applicata alla chiesa parrocchiale di S. Agnese a Matera ne è stata la ruvida levatrice. E nell’ottobre 1998 il suo Presidente e il suo testimonial sono stati fatti segno a un interessamento giudiziario che l’ha azzoppata, procrastinando fino a marzo 2004 la rivelazione che il fatto non sussisteva. Benedetta Fondazione, come poteva cavarsela senza una minima leggenda?
Quel che conta per lei, diciamolo appunto con il poeta, è “vivere senza impostura, / viver così da cattivarsi in fine / l’amore dello spazio, da sentire / il lontano richiamo del futuro.” Alla Fondazione non stanno a cuore le carte del suo cosiddetto storico. I numeri del suo interventismo, nonostante i tormenti riferiti, sono ragguardevoli in questa terra dall’esigua popolazione, ma non ne materializzano a sufficienza il singolare carisma. Non è contemplazione narcisistica riconoscere che suo guadagno morale è non latitare mai davanti ai richiedenti d’ogni specie.
Se l’usura interessa davvero, si incrocino i rapporti Istat e Svimez, quelli provenienti da Mestre e da Maurizio Fiasco, si chiedano informazioni alle locali Prefetture e Questure e Forze dell’ordine. La Fondazione è parte di un contrasto, tuttavia non è suo precipuo compito stare appiccicata all’osservatorio del fenomeno criminoso e propalarne l’aneddotica talvolta spuria. Mica possiamo millantare che, un giorno sì e un giorno no, conficchiamo l’apposito paletto nel cuore di un vampiro usuraio!
La Fondazione Lucana ritiene che l’affievolimento della battaglia contro l’usura sorga anche dalla tematizzazione debole che se ne fa, tutta sprazzi e varchi effimeri, non di rado autocelebrativi, sia da parte dello stesso volontariato sia da parte delle istituzioni che se ne adornano.
Confitta senza tregua nei cosiddetti ascolti, che in realtà sono dolorosi faccia a faccia con donne e uomini nella distretta creditizia, la Fondazione vede bene che l’usura è alla fin fine solo la muffa di quell’internazionale usurocrazia come la definiva Ezra Pound che Papa Francesco denuncia con parresìa ogni giorno.
Nella muffa che ci spetta convergono, in ordine di rilevanza, certo straripamento politico divenuto dominazione, l’ottusità ma anche la maliziosa prevaricazione di vari siti burocratici, l’estesa disoccupazione, la povertà che si è allargata, l’effettuale insignificanza dell’agricoltura lucana con le sue periodiche alluvioni, il razionamento e l’esclusione praticati dal credito bancario, le offerte occhiute e strabordanti delle finanziarie, le manovre della malavita organizzata o solitaria, lo svettante gioco d’azzardo e il complessivo degrado antropologico di questa stagione di miseria.
Noi si professa che non è necessario riuscire per impegnarsi. C’è solo una cosa necessaria: i Lucani cui siamo necessari. Avanti! Congiuntamente. Con i liberi, i forti e i generosi. Di fronte al Leviatano usurario la Fondazione ritiene che, comunque, si possa fare qualcosa di meglio.
Borís Pasternàk concluderebbe: “E non devi recedere di un solo / briciolo della tua persona umana, / ma essere vivo, nient’altro che vivo, / vivo e nient’altro sino alla fine.”
Caro Commissario la ringrazio.
don Basilio Gavazzeni