“C’è ostilità nella filiera del grano duro a rendere le informazioni trasparenti. Ne sono prova lo stop della Cun e le riserve espresse dagli industriali sul registro di carico e scarico dei cereali”. Lo ha evidenziato il delegato della Liberi Agricoltori On. Saverio De Bonis intervenendo alla riunione del Tavolo frumento duro, svoltasi ieri al dicastero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste alla presenza del ministro Francesco Lollobrigida. Già i produttori sono penalizzati dal calo degli aiuti comunitari, dalle condizionalità e dall’aumento dei costi di produzione. Se a questo si aggiunge pure una distorsione (storica) dei prezzi di mercato nota sin da quando al Ministero c’era Martina, e certificata pure dai tribunali con l’annullamento dei listini delle borse merci, allora il futuro della pasta made in Italy è davvero incerto. C’è sempre meno voglia di seminare grano, a dimostrazione che neppure i contratti di filiera hanno superato quella diffidenza che vede scaricare tutti i rischi su chi produce. Solo il 15% del mercato ha aderito ai contratti. “Occorre quindi trovare una modalità nuova per distribuire equamente il reddito lungo la catena del valore ed evitare che i produttori siano marginalizzati e i consumatori condannati ad acquistare prodotti dalla provenienza incerta. Al tavolo – ha detto De Bonis – abbiamo consegnato al Ministro la bozza di risoluzione della scorsa legislatura, condivisa da tutte le forze parlamentari, in cui tra le misure per valorizzare il grano c’era anche un marchio sul modello Desert Durum, finalizzato a far uscire dalle commodites l’eccellenza italiana”. Qualche altra notizia positiva è infatti emersa dall’incontro: la crescita di consapevolezza da parte dei consumatori sugli aspetti sanitari delle derrate alimentari. In passato negli altri tavoli a farla da padrone era la qualità tecnologica delle granaglie. Più proteine era il leitmotiv dei trasformatori. Ma oggi i consumatori sono più coscienti, grazie alle battaglie d’informazione portate avanti da alcune associazioni, e se consumano meno pasta il motivo è la ricerca di maggior sicurezza e digeribilità. Il comparto è quindi a un bivio tra l’esigenza di aumentare la produzione nazionale, il rispetto per la salute dei consumatori e la legittima richiesta di garantire una copertura dei costi di produzione agli agricoltori. Anche perché sul mercato la pasta 100% grano italiano costa dai 3 euro in su mentre il grano 100% italiano è sceso in meno di 6 mesi da 0,58 euro/kg a 0,36 euro/kg circa 10 volte in meno il prezzo della pasta 100% italiana. Adesso la palla è nelle mani del governo – ha concluso l’esponente di Liberi Agricoltori – che dovrà dimostrare di voler regolamentare questo mercato e attuare una nuova politica ispirata dalla sovranità alimentare.
Apr 15