Più povera. Più violenta. Più vecchia. E, inutilmente, più istruita. E’ l’immagine dell’Italia dopo sei anni di crisi economica, politica e sociale nella fotografia scattata dal Centro Studi della CNA.
In questo arco di tempo il nostro Paese ha visto crescere in maniera travolgente le persone a rischio povertà ed esclusione sociale. Ormai sono oltre 18 milioni, quasi tre milioni in più del 2007, e rappresentano il 14,8% di tutti gli europei emarginati economicamente. Si tratta di persone costrette a vivere in famiglie con entrate inferiori al 60% del reddito medio, che non possono permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni e, se lavorano, lo fanno in maniera ridotta. Peggio dell’Italia nell’Unione europea solo la Grecia e sette Paesi ex-comunisti. Dal 2007 la percentuale di italiani che non possono sostenere una spesa imprevista, pagare le bollette, riscaldare la casa, nutrirsi come si deve è schizzata dal 6,8 al 14,5%. Nel Vecchio Continente il disagio è cresciuto di più solo in Grecia. Colpa della crisi, è vero. Ma negli stessi anni in Germania il numero di tedeschi emarginati è diminuito. Anche la crisi, evidentemente, non è uguale per tutti in Europa. E in Italia crea un ulteriore elemento di allarme sociale: il boom degli sfratti per morosità. Nel 2012 se ne contano oltre 60mila, che aggiungono disagio a disagio.
Tra il 2007 e il 2012 il nostro Paese è diventato anche più insicuro. In questi anni, informa il Centro Studi della CNA, i reati sono cresciuti dell’8,7%. In forte aumento risultano soprattutto i reati contro il patrimonio, che principalmente possono essere ricondotti alla caduta delle attività economiche: i furti sono saliti del 32,5%, le truffe e le frodi informatiche del 21,8%. La crisi spinge le famiglie a guardare sempre di meno alla qualità e la criminalità, anche internazionale, ne approfitta. Si spiega così la crescita esponenziale dei reati di contraffazione di marchi e prodotti industriali, più che quadruplicata. Ma la crisi ha finito per turbare e impoverire anche i rapporti tra le persone, come dimostra l’incremento degli episodi di violenza personale, dalle percosse alle lesioni.
L’incertezza economica e sociale si riverbera, inevitabilmente, sul dato demografico: non si fanno più figli. Negli anni della crisi il tasso di natalità, già basso, in Italia è calato ulteriormente, da 9,7 a 8,9 nuovi nati ogni mille abitanti. L’età media è salita da meno di 43 a 44 anni. E il peso della popolazione anziana è aumentato. Ormai gli ultra 65enni sono una volta e mezza i ragazzi sotto i 15 anni e quasi un terzo (il 32,7%) della popolazione in età lavorativa. E’ il livello più alto in Europa. E rappresenta un segnale inquietante. Questo indicatore, infatti, misura la capacità potenziale del sistema di provvedere al pagamento delle pensioni. Una bomba a orologeria.
Eppure, anche perché non si trova occupazione, tra il 2007 e il 2013 si è incrementato il grado di istruzione della popolazione. Sono aumentati del 23,9% i laureati e dell’11,9% i diplomati. Così da portare al 47,4% degli italiani i possessori di un diploma o di una laurea. Ma l’istruzione non ha garantito una occupazione, anzi. Se, infatti, prima della crisi il diploma assicurava un inserimento sul mercato del lavoro simile, in pratica, a quello della laurea, oggi la probabilità di disoccupazione di un diplomato è prossima a quanti posseggono solo la licenza media. Si spiega anche con questi numeri, sottolinea l’indagine del Centro Studi della CNA, l’esplosione del fenomeno Neet, i giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano, non studiano, non svolgono attività di formazione, saliti in sette anni di oltre 750mila unità, arrivando a quasi 3,6 milioni. Il 27,3% dei Neet sono diplomati (erano il 17% nel 2007), il 21,7% laureati, contro il 15,9 per cento all’inizio della crisi.