“City Vision e la favola della Smart Matera: applausi, milioni e zero cittadini”. Di seguito la nota integrale inviata da Sante Lomurno, Presidente Sezione Unimatica Confapi Matera.
A leggere certi articoli, viene il sospetto che Matera sia diventata improvvisamente la nuova Silicon Valley. Ce lo raccontano fiumi di comunicati stampa, resoconti entusiasti e classifiche “smart” dai criteri ignoti, come quella apparsa dopo l’evento “City Vision” del 24 marzo a Napoli. La Basilicata, ci dicono, brilla nella top 20 delle città digitalmente avanzate. Potenza al quinto posto. Matera tredicesima. Applausi. Ma a chi?
Perché qui, a Matera, l’unico “smart” a funzionare è lo storytelling. La realtà, quella vissuta dai cittadini e dalle imprese, racconta tutt’altro: la Casa delle Tecnologie Emergenti (CTEMT), nata per trainare l’innovazione, resta una fortezza autoreferenziale, impermeabile al confronto con il tessuto produttivo locale. Nonostante 15 milioni di euro di finanziamenti pubblici stanziati dal Ministero dello Sviluppo Economico nel 2019, non c’è mai stato un incontro strutturato tra i partner scientifici (CNR, UNIBAS, Politecnico di Bari) e gli imprenditori della città. Zero.
Si parla di “Gemello Digitale della Città”, di blockchain, di comunicazione quantistica, di robotica e realtà virtuale. Tutto molto bello. Peccato che la cittadinanza non ne abbia mai visto nemmeno un pixel. Le infrastrutture dati restano inaccessibili alle imprese locali, mentre le opportunità di mercato che dovrebbero nascere attorno a questi strumenti, come previsto dal progetto, restano sulla carta.
Nel frattempo, la CTEMT viene trasformata in una risorsa da affittare “a metro quadro”, piuttosto che in un centro vivo di innovazione, sviluppo e occupazione. Un colpo al cuore per chi sperava che la tecnologia servisse a trattenere i giovani, offrire prospettive, e non solo a riempire brochure patinate per convegni a ciclo continuo.
Sì, ci sono state le Call for Solutions. Ma basterebbe raccogliere le testimonianze delle aziende partecipanti per capire che la narrazione pubblica non coincide con l’esperienza privata. In alcuni casi, persino i percorsi formativi attivati dalla CTE hanno fatto concorrenza diretta a piccole realtà locali, godendo di una posizione di predominio istituzionale.
Si potrebbe ridere, se non facesse così male. Perché qui non si gioca con le teorie. Si gioca con le speranze di una comunità intera, convinta che innovazione volesse dire progresso, non propaganda.
Chi ha beneficiato davvero di questi milioni? Quanti posti di lavoro sono stati creati? Quanti contratti di collaborazione sono stati siglati con imprese lucane? Quante startup locali hanno avuto accesso alle infrastrutture CTE? Domande semplici. Che da anni non ottengono risposta.
Intanto, la stampa continua a rilanciare il mantra della “Matera che innova”, come se la semplice esistenza di un laboratorio bastasse a far crescere occupazione e PIL. Ma se la tecnologia non entra nella vita delle persone, che innovazione è? Se non dialoga con le imprese, con i cittadini, con gli studenti, a chi serve?
Una risposta c’è. Ma non farà notizia nei roadshow. Perché racconta di un Sud che non chiede miracoli, ma semplicemente trasparenza. Coinvolgimento. Risultati. E rispetto.