Non sarà, purtroppo, un marchio unico (sia pure facoltativo) per il “100% Latte italiano”, il nuovo logo che indicherà la zona di mungitura del latte, a risollevare le sorti del comparto lattiero-caseario nazionale e lucano. E’ quanto sostiene la Cia della Basilicata per la quale se si raggiunge lo scopo di dare un’informazione semplice e ben identificabile da parte del consumatore il provvedimento resta comunque soltanto un palliativo. Il latte fresco – come quello lucano che viene conferito a grandi e prestigiose imprese nazionali – è già quasi tutto ottenuto a partire da latte crudo proveniente da allevamenti italiani. Pochi forse sanno che il latte fresco del marchio prestigioso è di provenienza da stalle della Val d’Agri o del Melandro o della Collina Materana. Il fresco non può viaggiare molto, deve essere confezionato entro 48 ore e quindi giocoforza le industrie devono fare ricorso ai produttori locali. Il problema vero è conoscere l’origine del latte importato (8,6 milioni di tonnellate) utilizzato nelle produzioni di latte UHT o per preparare mozzarella e formaggi venduti come “made in Italy”.
Sono necessarie ben altre misure per far fronte alle enormi difficoltà che il comparto del latte sta vivendo. Se non si interviene con estrema urgenza per preparare con strumenti adeguati “un atterraggio morbido” all’uscita del sistema delle quote, la situazione rischia di precipitare -osserva la Cia. L’attuale incremento della produzione di latte a livello europeo, che è destinato a crescere ancora dopo la cessazione del regime, non potrà che avere gravi ripercussioni sui prezzi della materia prima già pesantemente bassi. Secondo i dati Iri, nel 2014 le vendite di latte fresco nella grande distribuzione sono precipitate del 6,2% a volume e del 4,3% a valore mentre il latte a lunga conservazione (l’Uht) è arretrato, rispettivamente, del 3,1% e dello 0,4%. Deboli anche il comparto dei formaggi (-2,3% a volume) e degli yogurt (-2%). Ma i dati potevano essere peggiori se il livello di pressione promozionale non fosse balzato al 7% per il latte e fresco e al 44% per l’Uht; per gli yogurt è arrivata al 38%. Il governo italiano ha inserito nel maxi-emendamento alla legge di Stabilità un fondo per sostenere i produttori italiani per incentivarli a puntare sulla qualità, ma si tratta di pochi soldi, solamente 8 milioni per il 2015, nel quadro degli aiuti del regime “de minimis”. Inoltre è evidente che una misura nazionale non basta, perché la madre di tutte le partite si gioca in Europa. Nessuno Stato da solo può pensare di risolvere una questione che in particolare per l’Italia riveste una fondamentale importanza -continua la Cia. Il settore lattiero-caseario è infatti una colonna portante dell’economia agroalimentare nazionale e lucana : l’Italia annovera circa 35.000 aziende, di cui meno di un migliaio in Basilicata per una produzione (2013) di 184 tonnellate di latte vaccino. E’ perciò necessario dare stabilità al settore definendo un “prezzo del latte” con un contratto semestrale o, al massimo, quadrimestrale, al fine di consentire agli allevatori di poter avviare la programmazione a medio termine”. “La nuova programmazione dello sviluppo rurale rappresenta – prosegue la Cia – un’opportunità da non perdere per avviare programmi di innovazione e investimenti per una zootecnia a basso input energetico. Questa però deve essere anche l’occasione per sviluppare efficaci sistemi di gestione del rischio e stabilizzazione dei redditi”. Di qui “l’attualità di un Piano regionale per il comparto zootecnico, da aggiornare con le misure del nuovo Psr 2014-2020, e di un programma di consolidamento e rilancio del sistema agroalimentare e industriale legato alle produzioni locali tipiche e di qualità.