Il ministro della Salute Roberto Speranza “ha firmato un provvedimento che vieta lo svolgimento delle attività sciistiche amatoriali fino al 5 marzo 2021, data di scadenza del Dpcm 14 gennaio 2021”. Una decisione che mette definitivamente a terra le speranze di un intero settore, e ancora una volta chi ha fatto investimenti fidandosi delle regole scritte dal governo si trova spiazzato all’ultima ora da un improvviso dietro front.
“Per l’economia delle Regioni è una mazzata all’ultimo secondo, perché dopo due rinvii arriva un altro stop. Le Regioni in zona gialla si erano organizzate per attuare un protocollo di sicurezza e ingaggiare personale adeguato, ma si rispegne una macchina che si era messa in moto nel rispetto delle regole”, ha subito commentato il coordinatore della Commissione speciale Turismo ed Industria alberghiera della Conferenza delle Regioni, Daniele D’Amario.
E la decisione del ministro Speranza diventa immediatamente anche un problema politico, il primo nodo sul rosario del governo Draghi: “La montagna, finora dimenticata, merita rispetto e attenzione: che risposte si danno e in che tempi al documento predisposto dalle regioni? Non è solo questione di cifre: non è detto nemmeno che bastino i 4,5 miliardi richiesti quando la stagione non era ancora compromessa, probabilmente ne serviranno di più, a maggior ragione se ci sono altri stop. Gli indennizzi per la montagna devono avere la priorità assoluta, quando si reca un danno, il danno va indennizzato; già subito nel prossimo decreto”, scrivono i ministri Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia dopo il nuovo stop.
Gelo anche dai governatori: “Sono allibito da questa decisione”, dice il presidente del Piemonte, Alberto Cirio. “Soltanto dieci giorni fa – aggiunge – il Comitato tecnico scientifico nazionale aveva stabilito che in zona gialla da lunedì 15 si sarebbe potuto sciare. Su queste direttive il Piemonte si è mosso, nel rigoroso rispetto delle regole. Regole che non possono cambiare tutte le settimane”. “Una decisione dell’ultimo secondo che dà un ulteriore colpo gravissimo a un settore che stava faticosamente riavviando la propria macchina organizzativa”, attacca il presidente della Lombardia Attilio Fontana: “Ancora una volta si dimostra che il sistema delle decisioni di settimana in settimana è devastante sia per gli operatori, sia per i cittadini”.
“Il provvedimento – avverte il ministero, spiegando la misura varata – tiene conto dei più recenti dati epidemiologici comunicati venerdì 12 febbraio dall’Istituto Superiore di Sanità, attestanti che la variante inglese, caratterizzata da maggiore trasmissibilità, rappresenta una percentuale media del 17,8% sul numero totale dei contagi”.
La chiusura era stata suggerita dal Cts, secondo cui alla luce delle “mutate condizioni epidemiologiche” dovute “alla diffusa circolazione delle varianti virali” del virus, “allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”. Il parere del Comitato tecnico scientifico rispondeva alla richiesta del ministro della Salute di “rivalutare la sussistenza dei presupposti per la riapertura” dello sci, “rimandando al decisore politico la valutazione relativa all’adozione di eventuali misure più rigorose”.
Un parere che aveva fatto infuriare i tecnici del settore: “Il Cts crea nuovamente il panico nel mondo della montagna. Basta. Il governo Draghi rimetta ordine alla comunicazione del Cts per evitare di continuare a far vivere imprese e cittadini nell’incertezza e nella paura”, aveva subito twittato l’assessore agli impianti a fune della Valle d’Aosta, Luigi Bertschy.
Ma il parere del Cts era arrivato a seguito di un’analisi scientifica condotta in 16 regioni e province autonome dalla quale è emersa la presenza delle varianti nell’88% delle regioni esaminate, con percentuali comprese tra lo 0 il 59%. Alla luce di ciò lo studio raccomandava di “intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione, rafforzando e innalzando le misure in tutto il paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto”.
Proprio la preoccupazione per la diffusione di questa e di altre varianti del virus ha portato all’adozione in Francia e in Germania di misure analoghe a quelle varate oggi in Italia . Nel verbale del 12 febbraio il Comitato tecnico scientifico faceva riferimento alla possibile riapertura degli impianti sciistici nelle Regioni inserite nelle cosiddette “aree gialle”, sconsigliandolo con decisione. Il governo, avverte il ministero della Salute, “si impegna a compensare al più presto gli operatori del settore con adeguati ristori”.
Per gli operatori che erano finalmente pronti a riaprire sperando di non buttare al vento l’intera stagione è una doccia terribilmente fredda. In Valtellina e Valchiavenna era già dura riaprire rispettando i limiti di capienza per gli impianti da sci al 30%, come prevedeva l’ordinanza firmata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana lo scorso 10 febbraio, ma lo stop spiazza accordi e impegni, e mette fuori gioco prenotazioni e contratti.
“Abbiamo raccolto, in via elettronica, migliaia di prenotazioni da tutta la Lombardia – spiegano dalla società impianti di Aprica – per la ripartenza, organizzata in tutta sicurezza con rigidi protocolli per evitare qualsiasi rischio di assembramenti. Le piste sono in perfette condizioni per l’ottimo innevamento”. “Siamo in ginocchio – sottolinea Mariangela Bozzi dell’omonimo hotel di Aprica – per una stagione invernale mai partita. E gli hotel, in queste ore, stanno già ricevendo numerose disdette dei brevi soggiorni programmati in coincidenza anche con la festa di San Valentino”.