La segreteria regionale della Cisl Funzione Pubblica ha inviato una lettera ai dirigenti del Comune di Matera, al segretario del consiglio comunale Antonio Fasanella, al Comandante della Polizia Municipale Franco Pepe, al legale del Comune Enrica Onorati, ai dirigenti Delia Tommaselli e Maria Giovinazzi, al sindaco Salvatore Adduce, all’assessore al personale Rocco Rivelli, ai rappresentanti della Cisl e a tutti i dipendenti del Comune di Matera inerente la mobilità interna di personale non conforme al dettato normativo. La riportiamo integralmente
Oggetto: assegnazione di mansioni differenti da quelle di inquadramento e/o successivamente acquisite. Illegittimità.
Si deve prendere purtroppo atto, con amarezza, che continuano a essere adottate disposizioni di servizio che potremmo definire di “mobilità selvaggia”, difformi dal dettato normativo a dai più elementari principi giuridici di riferimento.Infatti negli ultimi mesi si sta assistendo a svariati cambio di mansioni in capo ai dipendenti, con trasferimenti da un servizio all’altro del comune, senza che si verifichi preventivamente lacapacità professionale del lavoratore a svolgere il nuovo compito e senza che si provveda alla sua riqualificazione professionale. Così un operaio tecnico diventa improvvidamente esperto di informatica e viene trasferito all’Avvocatura Comunale lasciando pericolosamente scoperta la postazione, un addetto al protocollo dell’Ufficio Patrimonio viene trasferito al Settore Igiene Urbana e un ex autista degli affari generali viene trasferito al posto dell’addetto al protocollo, un operatore dell’ISTAT viene trasferito a fare l’operaio specializzato all’Ufficio tecnico, e potremmo continuare ancora portando altri esempi altrettanto incomprensibili.Come è possibile pensare che queste mobilità siano frutto solo di una necessità di professionalità e non invece sottendano ad altre “necessità”?Per l’adozione di queste disposizioni la dirigenza assume a presupposto l’art. 56 del d.lgs 29/93, modificato dal d.lgs80/98 e dell’art,. 3, comma 2) del CCNL 31.3.1999, il quale consentirebbe, solo apparentemente, la facoltà di poter attribuire qualsiasi mansione ai dipendenti comunali sull’erronea interpretazione dei poteri datoriali che le anzidette norme attribuirebbero alla dirigenza in tema di jus variandi.A ben vedere la facoltà in capo alla dirigenza di disporre il c.d. cambio di mansione è correlato all’osservanza della “equivalenza professionale” delle mansioni (tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili”- cfr. CCNL)).Orbene, le disposizioni de quo non rispettano il principio dell’equivalenze della professione, limitandosi a ritenere che l’equivalenza discenda esclusivamente dall’appartenenza alla stessa categoria giuridica e/o economica.Su questo è incontrovertibile la posizione della giurisprudenza e della dottrina che all’inciso “in quanto professionalmente equivalenti” ritiene debba intendersi un potere limitativo, nel senso che sono esigibili le mansioni che si equivalgono dal punto di vista professionale.Tanto deve essere letto sulla scorta di numerosissimi pronunciamenti giurisprudenziali che per correntezza si riportano:- “Per i criteri dell’affidamento di mansioni equivalenti sopperisce la ingente produzione della Corte di Cassazione, secondo la quale l’attribuzione di mansioni equivalenti impone che queste siano omogenee nel senso che il lavoratore possa svolgere le nuove con le stesse capacità ed attitudini professionali in precedenza esplicate (Cass. 28.3.1986 n.2228).- L’equivalenza deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine di quelle nuove ad essere aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale del dipendente, salvaguardandone il livello professionale, e tali da consentire l’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto di lavoro (Cass., sez. lav., 23.11.1995 n. 12121; 10.8.1987 n. 6871).- Le mansioni equivalenti devono essere idonee a consentire l’utilizzazione, il perfezionamento e l’accrescimento del patrimonio professionale già acquisito e il datore di lavoro ha l’obbligo della tutela della professionalità del dipendente, intesa come patrimonio di esperienze e di nozioni da questi acquisito nel corso del rapporto (Cass., sez. lav., 9.6.1997 n. 5162; 22.4.1995 n. 4561; 13.11.1991 n. 12088; 17.3.1986 n. 1826).- A conti fatti, dunque, secondo la Cassazione, l’art. 2103 tutela la professionalità del lavoratore, intesa come insieme di nozioni, esperienze, cognizioni ed abilità operativa precedentemente acquisite, di cui deve essere salvaguardata la possibilità di ulteriore utilizzazione ed affinamento (Cass. 8-8-1987 n. 6852) ed assicura al lavoratore una tutela volta a impedirne la dequalificazione non solo sotto l’aspetto economico ma anche sotto l’aspetto morale (Cass. 10.10.1985 n. 4940).- Ancora, il lavoratore può essere assegnato a mansioni diverse da quelle svolte, a condizione che vi sia equivalenza per quanto concerne il contenuto di professionalità e che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica preparazione tecnico professionale del dipendente (Cass. 3.11.1997 n. 10775, conforme a Cass. 8.2.1985 n. 1033)”.E’ parimenti evidente che ove l’Amministrazione si dovesse trovare (finalmente, sic!) nella necessita di affrontare un processo di riorganizzazione interno ed avere la necessità di modificazioni e/o innovazioni delle mansioni da fare svolgere ai propri dipendenti, allora sarebbe necessario predisporre un paino articolato di formazione e riqualificazione del personale per consentire il reinserimento professionale dei lavoratori sui nuovi posti di lavoro, in mancanza di questa necessaria attività la mobilità orizzontale oltre ad essere improduttiva, e forse dannosa anche per l’Ente, è viziata da nullità.Sulla scorta di tali considerazioni si chiedela sollecita convocazione di un incontro con le SS.LL. per affrontare la pesante problematica dell’impiego operativo del personale già più volte segnalata e non ancora affrontata e tantomeno risolta.
Il Segretario Generale Regionale della CISL Funzione Pubblica Giovanni Sarli
Quante chiacchiere che fa sta cisl. I dipendenti pubblici sono per la stragrande maggioranza dei fannulloni che cercano scuse per non lavorare. Se il comune riuscisse a cavar loro un po’ di sangue dalle rape sarebbe una grande cosa!!
Ringraziate il Padreterno per il fatto che avete un lavoro (o, meglio, un posto, lavoro non lo so ma lo spero).
Senza conoscere assolutamente nessun dipendente comunale che si è visto assegnare un’altra mansione, e pur non apprezzando in generale l’operato nè del sindaco nè della giunta, mi chiedo: se un dipendente è un ex autista, cioè è stato preso come autista e adesso non guida più, e serve un’altra persona da un’altra parte nel Comune, l’ente cosa dovrebbe fare: tenersi l’ex autista a ex-fare qualcosa, cioè a fare niente, e assumere un nuovo dipendente? La mia è una domanda vera, accetto risposte e sono pronto a ricredermi se mi date delle ragioni che tengano conto anche del momento attuale e dei tanti giovani che il posto fisso possono solo sognarlo.
La casta sono i politici con tutti i loro vitalizi in barba alla crisi economica del paese.
Ma nella casta ci sono anche tutti i dipendenti pubblici.
Gli unici lavoratori ai quali viene garantito il posto a vita a nostre spese anche se non rendono, anche se non producono, anche se sono fannulloni.
E si lamentano sempre e i sindacati fanno il loro gioco a discapito della collettività.
Licenziate i buoni a nulla e prendete personale volenteroso e attivo.
Non parassiti che a ogni cambio di comando si fanno raccomandare per avere promozioni.
I cittadini sono stufi.
Il dipendente pubblico a cui si potrebbe affibbiare l’epiteto di fannullone, è quello che sta in Ufficio, non finge di ammalarsi, non fa il doppio lavoro, ma non rende, non si applica: vagheggia tra un caffé e un video gioco, oppure è lento nel servire il pubblico, anche poco gentile o per niente disponibile. Un lavativo scansa fatiche.
La domanda è spontanea: Perché si comporta così?
Concetto fondamentale in Economia è che la Società non si può strutturare sulla volontarietà del lavoro “nessuno lavora se non è costretto”.
Quindi la domanda vera è: Perché gli viene consentito di comportarsi in questo modo?
E’ in soprannumero, ovvero fa parte di un Organico sovradimensionato per il prodotto che la Struttura deve assicurare;
E’ stato assunto per motivi “politici”, per creare consenso;
Il Dirigente non lo incalza, anzi lo ignora perché in realtà non ha bisogno di Lui o perché non vuole rogne con certi Rappresentanti sindacali;
Al Dirigente responsabile non vengono chiesti o misurati i risultati conseguiti e la conservazione del suo incarico non dipende dai risultati raggiunti o meno;
Si potrebbe continuare a lungo nell’elencare le cause che di fatto, consentono talvolta agli impiegati lavativi di non lavorare. Ma il punto non è questo.
Il punto è: perché la politica ha ignorato per decenni i suoi problemi funzionali? Perché si è preferito il discredito di una grande categoria di lavoratori, al licenziamento di qualche centinaio di fannulloni?
Lo scarso rendimento reiterato nel tempo, costituisce sempre causa di licenziamento, in tutti i Contratti Collettivi Nazionali.
Risulta chiaro che il vero problema non risiede nella gestione del rapporto di lavoro. Se il licenziamento non è stato adottato come deterrente, il motivo sta nell’indirizzo esclusivamente politico che è stato dato alla P.A., alla quale di conseguenza, non venivano chiesti risultati.
Cattiva politica, cattivo sindacato hanno sin qui creato mostri. Per questo c’è bisogno della buona politica e di un sindacato protagonista del cambiamento.
Il problema è stato per decenni il clima generale del Paese, laddove l’immoralità nella conduzione della cosa pubblica, era evidente e la politica si disinteressava della P.A., se non per utilizzarla come serbatoio di voti, come volano del consenso sociale.
Fuor di metafora, il vero problema, che non viene mai delineato con esattezza è che la P.A. in Italia non è stata pensata e strutturata per funzionare bene, ma per essere asservita alla politica, ripetendone i vizi e subendo quindi direttamente le conseguenze di una gestione completamente svincolata da principi economici e morali.
E se l’uso della PA era quello di un ammortizzatore sociale, nessuno aveva interesse o vantava l’autorevolezza per dire: licenziamo gli impiegati in sopranumero che ho assunto per avere i loro voti. Non ci pensava neanche.
Il problema è esclusivamente politico: Fannulloni sono stati gli uomini politici che invece di pensare al Paese hanno coltivato solo il loro collegio elettorale.
Fannullone è il potere fine a se stesso: quello che governa avendo come unico obiettivo gli interessi di parte e di partito, se non quelli propri.
Non è corretto assolvere tutto e tutti i pubblici dipendenti: colpe ne hanno anche loro, come ne ha un certo tipo di sindacato-patronato, che ha sempre difeso a spada tratta chi non si impegnava nel lavoro.
Ma a ben vedere, questo potere al sindacato lo ha ceduto la politica con la sua mancanza di autorevolezza, col suo disinteresse per la Funzione pubblica, col suo comportamento auto referenziale.
Le disfunzioni che si registrano nel pubblico impiego sono da imputare a decisioni meramente politiche, la colpa del degrado non è della massa dei pubblici dipendenti che sono stati colpiti oggi, ma di chi ha lasciato che le cose degenerassero fino a questo punto, per demagogia, per interesse di parte.
Caro donato, semplicemente negli enti pubblici, al sud, dove serve 1 persona ne hanno messe 5 o 6 (e mi sono tenuto basso).
Certo, colpa della casta che ha insaccato la gente negli enti, ma anche di chi si è preso il posto, lavora poco o niente (ne serviva uno, ne hanno messi 5 o 6), e poi si lamenta degli sprechi della casta stessa.
Poi, magari, se dici ad uno di questi di andare a fare niente in un’altra stanza del Comune, si offendono pure e vanno a ricorrere al sindacato.