Sen. Giovanni Barozzino, senatore SEL e componente Commissione d’Inchiesta per gli infortuni sul lavoro ha inviato una nota dopo la morte del bracciante agricolo Arcangelo De Marco a seguito del malore avvenuto nella campagna di Metaponto.
Non ce l’ha fatta Arcangelo De Marco, il bracciante di soli 42 anni che era entrato in coma oltre un mese fa mentre lavorava nelle campagne di Metaponto. Come Arcangelo non ce l’aveva fatta Paola Clemente: anche lei bracciante, anche lei di San Giorgio Jonico, anche lei vittima di quella pratica mafiosa della gestione dei corpi e delle vite di lavoratrici e lavoratori che passa sotto il nome di caporalato. Come non ce l’ha fatta Mohamed, 47 anni originario del Sudan, morto d’infarto mentre lavorava in condizioni di vera e propria schiavitù.
Ogni volta che muore un lavoratore scompaiono un pezzo di civiltà e di democrazia. Non si lascia solo l’immenso e indescrivibile dolore delle famiglie cui vengono sottratti, ma anche uno squarcio insanabile sul campo sempre più stretto della dignità del lavoro, perché in questi anni abbiamo assistito a un sempre più spinto assottigliamento di diritti e di tutele, in nome di un profitto senza limite alcuno. Nemmeno davanti alla vita di donne e uomini, che trovano un unico momento di unità nelle tragedie che li colpisce.
Le condizioni in cui sono costretti a operare troppe lavoratrici e troppi lavoratori del settore agricolo – ma ricordiamolo, le cosiddette morti bianche sono, nel nostro paese, una tragica realtà per tutti i settori, come ci ricordano la morte di Said Haireche sui cantieri della Sa-Rc, e quella di Michele Assente e Salvatore Pizzolo alla raffineria Eni di Priolo – sono intollerabili e inaccettabili.
Pertanto il mio impegno continuerà con sempre maggiore forza sia nella ‘inchiesta sul caporalato’ attivato il giorno 8 settembre dalla “Commissione d’Inchiesta per gli infortuni sul lavoro” del Senato, sia più in generale sulla questione della sicurezza e della dignità nei luoghi di lavoro.
Morte bracciante agricolo Arcangelo De Marco, nota Marcella Conese (segretaria generale Flai Cgil Matera)
La morte del bracciante De Marco, avvenuta nella giornata di ieri all’ospedale San Carlo, insieme alla notizia di qualche giorno fa diffusa dalla Direzione Territoriale del Lavoro della Basilicata rispetto all’esito di alcuni accertamenti eseguiti nelle campagne della fascia jonica, ci consegnano un quadro fosco di ciò che accade nel settore primario.
Fenomeni conosciuti nei minimi particolari grazie alle denunce del sindacato, alle inchieste stampa, agli accertamenti degli organi competenti, ma pur sempre fenomeni striscianti che non si riesce a contrastare e ad eliminare del tutto.
Se su 20 aziende controllate, 17 sono risultate irregolari a vario titolo; se su 98 lavoratori, 35 sono risultati irregolari o a nero, significa che siamo di fronte ad una situazione “recuperabile” solo attraverso una risposta dura dello Stato, con interventi legislativi finalizzati a regolare il mercato del lavoro in agricoltura e ad istituire un regime periodico di controlli più adeguato di quello attuale.
L’introduzione, anche in agricoltura, di nuove forme di lavoro, come i contratti in somministrazione, non hanno fatto altro che aggravare le condizioni di lavoro e salariali dei braccianti.
Da questo punto di vista, sarebbe utile indagare anche su quali siano i rapporti tra le agenzie di somministrazione di manodopera e la rete dei caporali esistenti sul territorio interregionale, per tentare perseguire quel pezzo di criminalità organizzata che si infiltra subdolamente e produce uno smisurato volume di affari illegale.
Il lavoro agricolo attende risposte, perché non si può morire per 30 euro al giorno, stroncati dal caldo e dalla fatica, perché non si può lavorare per 10 ore consecutive in tendoni infuocati per ingrassare le agro mafie o i caporali, perché non è più tollerabile la percentuale di evasione contributiva e fiscale registrata nel settore.