Si è tenuta questa mattina online la conferenza stampa convocata da “No Cap” e “Rete per la Terra” dopo gli arresti e le confische per caporalato nel corso dell’inchiesta che ha coinvolto nei giorni scorsi il Metapontino e la piana di Sibari.
“E’ interesse delle nostre aziende agricole cacciare i caporali come tutti i mafiosi. Basta con l’immagine di una agricoltura stracciona con
le aziende rassegnate alla crisi ed al fatto che, siccome non ci pagano il giusto i prodotti, dobbiamo rassegnarci”, ha sottolineato Gianni
Fabbris (Presidente della Rete PerlaTerra e di Altragricoltura e Presidente regionale di Basilicata di LiberiAgricoltori) nel corso della conferenza stampa.
Il nodo del ragionamento è lo strapotere dell’industria Agroalimentare e della stessa Gdo che costringendo gli agricoltori a vendere i loro
prodotti molto al di sotto del costo di produzione di fatto creano le premesse per l’affermarsi del caporalato.
Secondo Fabbris, caporalato in agricoltura non è solo tratta delle braccia, con livelli di sfruttamento bestiali, è anche la “fornitura
chiavi in mano” di tutta una serie di servizi alle imprese agricole. “Ma si tratta di un nodo scorsoio perché piano piano quelle stesse imprese agricole vengono di fatto assorbite dalla rete criminale che sta dietro ai caporali”.
Il fenomeno ha una vastità che va ben oltre il profilo che viene fuori dalle stesse inchieste. “Ho conosciuto caporali – ha aggiunto Sagnet –
che controllano tra i mille e i tremila braccianti”.
“Basta andare a controllare quanto lavoratori vengono avviati al lavoro nei Centri per l’impiego e quanti invece partecipano alle varie stagioni di raccolta. C’è una sproporzione enorme”, ha sottolineato Sagnet.
Fabbris e Sagnet hanno invocato l’intervento delle istituzioni non solo per condurre inchieste che poi in realtà non producono un danno mortale al caporalato, ma anche per provvedere ad alcune necessità elementari proprio a partire dalla riforma dei Centri per l’impiego che devono tornare a svolgere il ruolo per il quale sono stati creati.
“Basta, è arrivato il momento di cambiare marcia”, hanno detto Sagnet e Fabbris. Sui trasporti, l’accoglienza e i servizi, “le istituzioni devono assumerci precise responsabilità altrimenti tutto continuerà come è andato avanti fino ad ora”.
“I soldi ci sono – ha detto Sagnet – e non si capisce perché non vengono impiegati. Ci sono almeno 70 milioni di euro per la lotta ai caporali e allo sfruttamento. Che fine hanno fatto?”
Parallelamente, tra imprese agricole e braccianti è arrivato il momento di tornare a stringere un patto di collaborazione, così come è stato in altre stagioni gloriose di questi territori. “Non sono un nemico degli agricoltori – ha detto Sagnet – e come lavoratori ci sentiamo parte
delle imprese perché c’è una causa comune da portare avanti contro chi sfrutta e ricatta l’agricoltura che vuole partire dai diritti di chi
lavora”.
Da mesi ormai le due associazioni (NoCap e Rete PerlaTerra) in accordo con il Gruppo Megamark sono impegnate nella realizzazione di “un cibo giusto, etico e garantito per il rispetto dei diritti” che viene distribuito nei supermercati meridionali con il marchio IAMME e per cui diversi braccianti immigrati sono stati inseriti al lavoro secondo la più piena e trasparente integrazione.
“E’ la dimostrazione” sostengono “che si può fare e che, grazie all’alleanza fra soggetti diversi a partire dai produttori, dai
lavoratori e dai distributori fino a coinvolgere in scelte consapevoli i cittadini, è possibile costruire percorsi su cui coinvolgere i soggetti
proponendo loro alternative all’unico destino della crisi.
Rete Per la Terra e associazione NoCap, presieduta da Yvan Sagnet hanno sottoscritto un documento congiunto che chiama le aziende agricole e i lavoratori alla mobilitazione.