Domenico Palma, segretario regionale Feneal-Uil Basilicata, raccoglie l’invito di “Prima Persona” e annuncia massimo impegno per sostenere il comparto edile in un periodo reso sempre più difficile dalla crisi che ha travolto anche l’economia regionale.
Il gruppo dirigente della Feneal-Uil, gli uomini e le donne che svolgono un lavoro reso sempre più difficile e complicato dalla crisi, un impegno di ascolto quotidiano e paziente degli operai nei cantieri edili e di quelli che non riescono più a tornarci, non nascondono la soddisfazione per il riconoscimento che è venuto in questi giorni dall’Associazione Prima Persona (Mario Polese) per le “analisi puntuali e qualificanti”, la qualità delle nostre proposte, il contributo ad arricchire il dibattito politico, sociale e civile. E poiché non abbiamo alcun interesse autoreferenziale e tanto meno quello di un protagonismo personale o di “primi della classe” quale sindacato di rappresentanza degli edili Uil, vogliamo raccogliere l’invito di “Prima Persona” a non far mancare le nostre idee, le nostre proposte, le nostre riflessioni. A costo di aumentare le fila di quanti ci “contestano” la forma atipica di fare sindacato, continuiamo ad occuparci della politica lucana che non riesce a dare risposte, in primo luogo di lavoro, come di qualità della vita. Intanto registriamo che nessuno si è scandalizzato quando i Giovani di Confindustria hanno lanciato lo slogan “Scateniamoci” invitando alla “rivolta politica” e quando il Presidente Squinzi ha annunciato la mobilitazione in piazza. Ma noi lo facciamo, esclusivamente, con lo spirito di aiutare la buona politica lucana ad uscire dal vicolo cieco in cui è finita: quello dei candidati-Governatore e consiglieri, quello della scelta sui politici invischiati in Rimborsopoli.
Lo facciamo, in prima persona, proprio secondo la stessa strategia di un’Associazione che sollecita presenza, partecipazione, confronto, raccontando la realtà del nostro settore.
Sarebbe il caso che qualche politico venga nelle nostre sedi sindacali anche per poche ore per toccare con mano i problemi dei cittadini con il casco in testa. Al sindacato degli edili si respira l’arresa di chi fino ad oggi con fatica e dignità ha sopportato il peso di una vita fatta di lavoro e sacrificio. Oggi nemmeno questo viene garantito, tutti ci chiedono come uscire da questa situazione, che tutti chiamano recessione.
Mentre i lavoratori la definiscono miseria , cioè mancanza di quel poco che consente di essere liberi e vivere con armonia il nostro tempo.
Le analisi degli economisti più illustri ci hanno detto che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, che il lavoro costa troppo e ci sono nazioni che i lavoratori vivono con poco più di qualche dollaro al giorno, tanto da essere felici e prosperare.
La verità è che con la crisi economica si è accentuata la crisi della politica incapace di trovare soluzioni ai danni provocati da un etablissement immutato da venti anni, con rare ventate di novità protese più a distruggere che a creare alternative credibili al vecchio modo di fare politica.
Noi Lucani siamo un popolo abituato alla sofferenza, perchè la nostra cultura, anzi civiltà contadina, diffida dei governanti che vengono percepiti lontani dal proprio vivere e si aggrappano a leggende e miti. Lo stesso accadeva nel periodo fascista e lo scrisse, molto bene, Carlo Levi, nel “Cristo si è fermato a Eboli “, di non aver mai visto nelle case dei contadini lucani il ritratto del re , del Duce e nemmeno di Garibaldi, ma di avervi sempre trovato, accanto all’immagini sacre della Madonna, quella di Roosevelt. Ma oggi, possiamo ancora parlare di civiltà contadina? In questi giorni lo spettacolo che ci sta offrendo la classe dirigente ci riporta alle peggiori manifestazioni di degenerazione di una civiltà esaltata a più riprese dai maggiori intellettuali italiani del novecento.
Orbene, quanta responsabilità abbiamo noi cittadini, quanta responsabilità ha un popolo che si adagia e si culla sul sicuro e risolutivo intervento di una politica fatta da clientele e auto conservazione, fatta di lotte di palazzo e correnti interne, dove la discussione non è la disoccupazione che tocca picchi elevati, ma chi decide i posti di comando.
Quante energie sprecate nello scrivere le ragioni di un malessere, quante sofferenze nel vedere i lavoratori che non possono più vivere dignitosamente. Si, abbiamo una grande responsabilità, non siamo stati capaci di essere uomini e donne liberi di vigilare e cambiare.
Vorremmo che di tutto questo si parlasse con la gente per superare innanzitutto gli atteggiamenti diffusi di sfiducia e rassegnazione. Noi non ci arrendiamo e per questa ragione chiediamo a Prima Persona di promuovere un primo comune momento di dibattito (magari in un cantiere) per dare il nostro contributo a diffondere i sentimenti di speranza e di cambiamento che continuano ad ispirarci e a sorreggerci.