Paolo Fanti è stato confermato segretario generale della Flc Cgil di Basilicata. L’elezione è avvenuta al quinto congresso che si è svolto al Giubileo Hotel Rifreddo, alla presenza del segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa e del segretario nazionale Flc Cgil Alessandro Rapezzi.
Nel titolo del congresso, “Lezioni di pace”, la riflessione lanciata dal segretario su “cosa significa coniugare la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e delle fasce sociali più deboli in un mondo che deve affrontare sfide planetarie complesse e difficili e, al tempo stesso, che ruolo rivestono i settori della conoscenza nella risoluzione di queste sfide”. Nel ribadire la posizione della Cgil di fronte alla guerra in Ucraina di “condanna e opposizione ferma all’escalation militare”, per Fanti il ruolo della conoscenza nella transizione verso un nuovo modello di sviluppo “è assolutamente centrale e la centralità non consiste nell’invocarne solo nuove competenze e innovazione in termini di mera tecnicalità, ma anche e soprattutto elementi di coscienza e sapere critici. Noi siamo per la scuola della Costituzione, per la scuola di Piero Calamandrei – ha detto Fanti – non siamo per la scuola – azienda, la valutazione competitiva, la retorica delle eccellenze, le competenze come capacità di prestazione e di esecuzione contrapposte alla competenza come capacità di usare l’intelligenza in un contesto non predeterminato. Esistono forme e modi diversi di intendere la conoscenza e l’istruzione e non tutti sono funzionali alla crescita degli individui come cittadini, alla riduzione delle disparità, alla costruzione di un mondo migliore”.
Se la conoscenza vuole essere elemento di cambiamento positivo, per Fanti “non può essere scissa da politica e democrazia. Deve essere parte e discendere da una visione del mondo, non viceversa. E la conoscenza deve essere democratica, improntata a una visione del mondo solidale, ma deve essere anche plurale e multidisciplinare. Occorre inoltre assumere la centralità reale e non retorica del sistema pubblico di istruzione e ricerca come generatore di uguaglianza, cittadinanza, innovazione, sostenibilità. In questo senso il sapere, le abilità, le capacità, le competenze debbono essere pensate in funzione dello sviluppo delle potenzialità umane e del sapere critico, da cui discende anche la funzione produttiva”. Da qui le dure critiche all’attuale governo Meloni e al ministro all’Istruzione.
“Le esternazioni seminate a raffica nelle scorse settimane da Valditara – ha spiegato Fanti – dalla proposta di mandare gli studenti indisciplinati ai lavori socialmente utili a quella di togliere il reddito di cittadinanza a chi non ha completato il percorso scolastico, dalla lettera agli studenti in occasione della caduta del muro di Berlino che promuove l’anticomunismo come ideologia di Stato fino alla promozione della umiliazione come fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità, saranno probabilmente uno dei terreni di scontro più insidiosi fra il ministro e le organizzazioni sindacali. Occorrerebbe ricordare che la nostra Costituzione non è principalmente per i meritevoli, ma bensì per i bisognosi. Se applichiamo criteri di merito per problemi che di merito non sono, se il merito è confuso con meritocrazia, se coincide con il censo, anche la logica stessa dello Stato sociale o di quel che ne rimane smette di essere quella solidaristica e costituzionale del soccorso ai bisognosi per essere sostituita da una logica competitiva che accredita e divide bisognosi meritevoli e non”.
L’altro grande tema di scontro con l’attuale governo è l’autonomia differenziata che interessa la scuola e le università con la fine dei contratti collettivi nazionali di lavoro e la loro sostituzione con contratti regionali e l’entrata delle giunte regionali nella decisione delle materie e dei programmi di insegnamento. “Terminerebbe così il sistema pubblico nazionale di istruzione, formazione e ricerca che, con tutti i suoi limiti – ha sottolineato Fanti – ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita civile, democratica e culturale degli italiani. Noi già conosciamo i disastri che ha fatto l’autonomia nelle università. Di fatto l’autonomia differenziata esiste già negli atenei – ha avvisato il segretario – e non c’è più da decenni un sistema universitario nazionale. Questo ha permesso una differenziazione dei salari, ma anche delle regole assunzionali, dei concorsi, della gestione delle risorse pubbliche e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Il nostro giudizio non può che essere negativo. L’interesse e il dibattito fra posizioni differenti tra le tre principali regioni del nord e quelle del sud possono far pensare che si tratti solo di una questione fra nord e sud del paese, ma non è soltanto questo. Le richieste di autonomia differenziata porterebbero certamente altri poteri alle classi dirigenti regionali, rafforzando il predominio delle istituzioni regionali su quelle cittadine e, non a caso, molti sindaci sono contrari. Ma è assai discutibile che portino automaticamente vantaggi ai cittadini. Pensiamo alla scuola. Perché per le famiglie lombarde o venete sarebbe meglio avere gli insegnanti dei propri figli selezionati da concorsi regionali, con criteri stabiliti dalla regione e, una volta assunti, essere alle 17 dipendenze dell’assessore regionale? Perché dovrebbe essere meglio avere programmi definiti (oltre le differenziazioni che già esistono) su base regionale, magari con forti richiami alle antiche tradizioni?”. In proposito Fanti ha ricordato la raccolta firme su una proposta di legge di iniziativa popolare di riforma degli articoli 116 e 117 della Costituzione, cui la Flc Cgil ha aderito, che è possibile consultare sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it e che sta raccogliendo oltre 50mila firme.
Infine, la minaccia dei tagli di finanza pubblica. “Il progetto di dimensionamento scolastico presente in legge di Bilancio – ha denunciato Fanti – prevede un nuovo dimensionamento della rete scolastica motivato con la denatalità e il calo demografico e connesso ai limiti per l’autonomia giuridica delle scuole, portati da 600 a 900/100 alunni per scuola. Questo piano ridurrebbe le attuali 8.100 scuole a circa 6.800, con un taglio di 700 scuole sul territorio nazionale. Questo taglio, già consistente di per sé, non sarà però ripartito in modo uniforme nelle varie regioni, ma peserà in misura più consistente su alcune regioni, in particolare Sardegna, Calabria e Basilicata, dove potremmo avere una riduzione di una quarantina di scuole o più”.
Critiche alla legge di Bilancio anche dal segretario generale della Cgil lucana, Angelo Summa: “Si tratta di una misura che è contro il paese, in quanto non affronta la questione del debito pubblico da cui si determinano le condizioni sociali, addebitandola al costo del lavoro, che è una delle cause dell’indebolimento dei salari e dell’aumento della povertà. In Italia abbiamo i salari più bassi d’Europa e una proliferazione di contratti collettivi nazionali, più di mille, che devono essere riformati. La lotta alla precarietà e il fisco sono i due grandi temi che andrebbero affrontati subito: per rilanciare la scuola pubblica, la sanità pubblica e il welfare non si può sostenere il debito pubblico sulle spalle di lavoratori e pensionati”.