“I dati del Rapporto annuale dell’Inps (circa la metà dei pensionati è costretta a vivere con un reddito inferiore a mille euro al mese) fanno il paio con quelli dell’Istat (incremento dell’incidenza della povertà sia cosiddetta relativa che assoluta), con l’aggravante che nelle campagne la situazione è ancora più difficile. Proprio nelle aree rurali infatti si registra la massima concentrazione di pensioni minime, inferiori alla soglia di 500 euro mensili”. Lo affermano in una nota congiunta a l’Anp, l’Associazione nazionale pensionati e l’Inac Patronato della Cia-Confederazione italiana agricoltori. Nelle zone di campagna i colpi della crisi sono sempre più pesanti, alimentando un profondo disagio sociale tra gli anziani. Una categoria di per sé vulnerabile -spiega l’Anp Cia- ma che nella congiuntura economica attuale rischia di sprofondare in una situazione ancora più drammatica. Una condizione di sofferenza -rimarca l’Anp-Cia- ingigantita dalla consistente perdita del potere d’acquisto delle pensioni negli ultimi vent’anni, dal progressivo aumento della pressione fiscale e dalla drastica riduzione dei servizi sociali, la cui carenza è stata ulteriormente aggravata dai tagli alla sanità, e in particolare al Fondo per la non auto-sufficienza che grava in particolar modo su anziani e pensionati, e dalla chiusura di molti uffici postali. I pensionati, purtroppo, sopportano carichi molto rilevanti e talvolta insostenibili per il risanamento del Paese. Tutto questo -rileva l’Anp-Cia- mentre si stenta ancora a prendere iniziative credibili per dare competitività alle imprese, a promuovere occupazione, a conferire capacità di spesa alle famiglie, agli anziani, ai meno abbienti. Una situazione alla quale occorre al più presto porre riparo al fine di evitare che tutto precipiti ancora di più nel dramma. Servono interventi mirati e soprattutto nuove politiche in campo sociale.
Nel ricordare la raccolta di firme promossa a maggio in occasione del “mese sociale” contro il blocco della rivalutazione annuale introdotto con la riforma Fornero che riguarda 6 milioni di pensionati e contro le modifiche peggiorative per le pensioni di vecchiaia ed invalidità, Vito Pace direttore regionale Inac, afferma che mentre i pensionati fungono da “ammortizzatori sociali” per le famiglie, c’è una legge sulle pensioni che sposta progressivamente in avanti la data del “fine lavoro” e ulteriormente l’aggancia alla statistica dell’aspettativa di vita. Morire, mediamente, ad un’età più avanzata rispetto al passato, non significa che a 70 anni si è “abili e arruolati” al lavoro. Infatti – sottolinea Pace – se è vero che molti paesi europei (come ad esempio la Germania) hanno innalzato l’età pensionabile legandola all’aspettativa di vita, è altrettanto vero che gli stessi stanno rimettendo in discussione questo teorema. Alcuni studi accreditati stanno dimostrando che, superati i sessant’anni, le persone sono maggiormente soggette a diverse patologie e quindi bisognosi delle relative cure.
Risultato: poco presenti sul lavoro e spese sanitarie dello Stato che superano quelle previste per le pensioni. Secondo l’Anp-Cia, sono 7 su 10 i pensionati delle aree rurali a essere vicini alla soglia di povertà: un rapporto di gran lunga più allarmante di quello relativo alla popolazione italiana, che sfiora il 30 per cento. Una condizione di sofferenza -sottolinea l’Anp Cia- accresciuta dalla consistente perdita del potere d’acquisto delle pensioni negli ultimi vent’anni, dal progressivo aumento della pressione fiscale e ora anche dal blocco della rivalutazione annuale introdotto con la riforma Fornero che riguarda 6 milioni di pensionati. Ma il problema non è solo economico. La geografia della crisi italiana -continua l’Anp Cia- è legata anche allo stato di salute dei servizi sociali. E nelle campagne la carenza è strutturale ed è aggravata dai recenti tagli alla sanità e in particolare al Fondo per la non auto-sufficienza, che grava in particolar modo su anziani e pensionati.