Carmine Vaccaro, segretario regionale Uil Basilicata, in una nota affronta le questioni che riguardano il rapporto tra occupazione ed estrazioni petrolifere in Basilicata. Di seguito la nota integrale.
Le dichiarazioni dell’A.D. Eni Descalzi più che la conferma del piano 2016-2019 già presentato al Comitato di Relazioni Sindacali del Gruppo Eni il 30 giugno scorso e sintetizzabile in 5 miliardi di investimenti in Italia, 20.200 occupati sempre in Italia, programmi per lo sviluppo delle rinnovabili – riattualizza il compito che come sindacato da tempo chiediamo di svolgere al grande player per la crescita economica, produttiva ed occupazionale in Basilicata “oltre il petrolio”.
Riavvolgendo il nastro del ragionamento: la realtà italiana e quella lucana in particolare è ben diversa dalle attività estere di Eni, come delle altre grandi compagnie, non solo in termini di capacità estrattiva e di dimensioni dei giacimenti, ma anche per i diritti di proprietà della risorsa, fondamentalmente in capo allo Stato che ne autorizza lo sfruttamento a fronte di un contratto di concessione. Le conseguenze economiche di tale dettato normativo sono indubbiamente rilevanti poiché stabilisce che lo sfruttamento delle risorse petrolifere difficilmente sarà affidato ad imprese locali, mentre molto più spesso l’estrazione e la commercializzazione saranno affidate ad imprese operanti su scala internazionale. In altre parole, dato il quadro normativo esistente – come ribadisce il Censis – è evidentemente irragionevole attendersi in Basilicata uno sviluppo del settore degli idrocarburi e conseguentemente dell’occupazione settoriale, mentre appare molto più verosimile, ed in qualche modo più interessante da coltivare e favorire, lo sviluppo generato dalla domanda di input produttivi e di servizi espressa dalle attività estrattive. Descalzi fa riferimento esplicito alla storia di Ravenna dove dopo gli investimenti Eni sono nate grandi imprese nel turismo e nelle tecnologie avanzate. E’ questo il destino che abbiamo sempre immaginato per la Val d’Agri e la Basilicata e per questo continuiamo a ripetere che non ci basta più la conferma di investimenti diretti e di occupazione diretta.
Ciò che colpisce della vicenda “petrolio” è l’instaurarsi di una sorta di “scambio ineguale” tra livello locale e livello statale che rende difficile l’assunzione di comportamenti e decisioni concordate con senso di “equità e perequazione”. E’ significativa la vicenda del volume e della ripartizione delle risorse siano esse royalty o fondi ridistribuiti per indurre sviluppo ed infrastrutture locali. Ed a cascata va fatta un’opportuna valutazione sull’attuale meccanismo di distribuzione ed impiego delle risorse sul territorio che non le finalizza ed incentra su di un piano di fuoriuscita dallo svantaggio regionale, privilegiando il sostegno alle infrastrutture materiali ed immateriali. Anzi le risorse sono destinate a cumulare e sommare i meccanismi interni di svantaggio economico e funzionale, giacché in gran parte finanziano sanità e sistema universitario per via ordinaria.
Le previsioni, a regime, parlano di circa 160.000 barili estratti al giorno, che consentiranno circa 10 anni di sfruttamento, con le riserve attualmente note. Ciò significa che per altri 10 anni circa la Basilicata potrà incamerare, con i prezzi vigenti del barile petrolifero, circa 4-4,5 miliardi di euro complessivamente, cui vanno aggiunti 2 miliardi di Ires. Si disporrà quindi di un patrimonio, non più rinnovabile a meno che non si scoprano nuovi giacimenti, di 6-7 miliardi di euro, con il quale capitalizzare un fondo regionale sovrano che possa puntare allo sviluppo socio-economico.
È qui l’attualità del Fondo sovrano regionale ispirato da due sentimenti-guida: quello della generatività delle commodities da far attecchire alla economia delle famiglie e delle imprese lucane, massimizzandone i risultati ed il sentimento della generosità e della ‘distesa sul futuro’ spostando e postando quote cospicue degli introiti verso le nuove generazioni.
Il Fondo – la nostra idea è sul modello norvegese tradotto nelle competenze e nella strumentazione regionale – arricchito da un impiego prudente sul mercato finanziario, proietta la programmazione al futuro e al dopo-petrolio, superando la teoria “petrolio centrica”, alimentando un flusso di risorse utili, sia come accumulo di ‘previdenza sociale’ per i cittadini lucani, sia per costituire uno stock di risorse a ‘tesoreria regionale’, da investire nello sviluppo del territorio. Esperienze straniere (ad esempio quella dell’Alberta Heritage Savings Trust Fund) mostrano che per ogni euro depositato nel fondo, si possono creare circa 1,7 euro di redditi da investimenti finanziari, riversati sul territorio anche come investimenti per lo sviluppo. Un esempio: investimenti in quote azionarie della FCA e dell’Eni.
C’é dunque una relazione stretta tra i “beni comuni”, l’identità ed il futuro della nostra regione, una relazione che tuttavia deve essere intessuta ed architettata perché non è un dato naturale (come ben spiegato da Giuseppe De Rita –Censis-). Ci vogliono le basi di un nuovo costruire per combinare la risorsa idrica, quella appenninico-forestale e del paesaggio e quella dell’energia petrolifera. In questa strategia l’Eni ha una missione da svolgere e la ripartenza del Cova di Viggiano è solo il primo stadio.