Il Recovery Plan si pone come una grande opportunità e comporta grande responsabilità: sviluppo dell’intero territorio nazionale post pandemia. Per il Mezzogiorno sarà una questione di soggetti e non di progetti. Di seguito la nota integrale inviata da Pierluigi Diso.
Nel Mediterraneo circola il 20% dei trasporti mondiali e non deve restare un mare di transito, ma i porti meridionali devono attrarre gli scambi di merci, solo così il Sud potrà essere protagonista, al centro del Mare Nostrum. Il PNRR spinge anche ad avere un approccio più green, a collegare con la strada ferrata Adriatico e Tirreno, a pensare a nuovi modelli di sviluppo che capovolgano le politiche degli ultimi anni. Il problema del Mezzogiorno è di soggetti e non di progetti. L’economia del mare è adesso al centro dello sviluppo, insieme a nuovi modelli di sviluppo sinergico tra competenze e ricerca. Occorre porre l’attenzione su un passaggio fondamentale e cioè gli investimenti nelle Zes devono diventare di interesse nazionale e l’Autorizzazione Unica permetterà di realizzare celermente i piani di sviluppo delle Zes rendendoli più coesi e più efficaci, insieme a tutto ciò che ruota attorno alla logistica e alla portualità. Bisogna pensare alle infrastrutture attorno ai porti, che sono essenziali allo sviluppo produttivo. Le risorse ci sono e sono tante, occorre saperle utilizzare. Le Zes sono senz’altro un elemento innovativo e di rilancio del sistema economico meridionale e da qui nazionale, ma la macchina è ancora spenta. Allora come farla ripartire? Le Zes sono un tassello del nuovo modello della portualità e della logistica. È il porto che deve penetrare nel territorio con la viabilità e la ferrovia: adesso conta l’intermodalità per le merci. Gli incentivi fiscali, doganali e burocratici sono attrattivi per collocare un investimento in una determinata area industriale, quando c’è già un investimento produttivo che ruota attorno a quest’area. Attorno al porto deve ruotare la produzione meridionale, sull’esempio dei porti di Amburgo, Rotterdam e Valencia e scusate se l’esempio può essere troppo forte. I porti meridionali italiani sono in una posizione strategica rispetto al Pireo che oggi è il più gettonato per i traffici in arrivo e in partenza per l’Asia. Taranto, Bari e Brindisi in particolare, ma anche Gioia Tauro, possono essere il ponte con l’oriente, mentre l’economia meridionale e italiana può trarre beneficio proprio dalla nuova geo-economia del Mezzogiorno che è al centro del Mediterraneo e diventerebbe così la porta d’ingresso dell’Europa. Ecco che PNRR e ZES sono gli attrezzi che permetteranno la crescita del PIL. Ecco la “chiamata alle armi di Draghi”, perché questa è una grande opportunità che non va sprecata per colmare i ritardi: le stime e l’impatto economico del PNRR sono notevoli, anche per potenziare le infrastrutture e modernizzare i porti, come riportato nella Missione 3. La Zes non deve restare un contenitore vuoto, è una cassetta degli attrezzi e questi devono essere usati da persone competenti: il sistema degli sportelli unici può funzionare solo se la burocrazia di enti eterogenei che sono coinvolti nel processo autorizzatorio degli investimenti al Sud non intralcia la sua strada. Gli amministrativisti avrebbero benedetto forse l’autorizzazione unica (quella già prevista dalla Legge n. 383/1994) o il silenzio-assenso, al massimo il dissenso motivato. Il Commissario straordinario voluto dal Governo è effettivamente dotato di simili poteri? I poteri speciali servono a garantire la certezza del diritto: chi viene ad investire al Sud deve sapere già le modalità di investimento; deve avere un solo interlocutore, affidabile. Una volta accertato l’investimento dallo Stato, dalla Regione, l’investimento non deve trovare altri ostacoli. Gli investimenti nelle aree Zes devo essere reputati investimenti pubblici, cioè devono avere quella stessa natura, cioè di interesse nazionale. Forse la legge sulle Zes avrebbe dovuto contenere anche questo passaggio, almeno al fine della vera sburocratizzazione. In una fase post-pandemia, poi, anche le imprese che hanno delocalizzato la loro produzione cercano di tornare a casa e le Zes sono il vero attrattore, insieme alle istituende zone franche doganali. Bisogna solo verificare se gli strumenti urbanistici e di pianificazione sono disposti ad accogliere questo nuovo fenomeno. Un dato è certo che chi prima arriva non solo è a metà dell’opera, ma si potrà vendere sul mercato internazionale. Son passati già tre anni dalla nascita delle Zes, ma il parto sembra ancora in itinere e, salvo la scossa del PNRR, il progetto di piano strategico per il Mezzogiorno potrebbe perdere credibilità. Fortunatamente il PNRR prevede delle importanti novità per le Zes, partendo dallo stanziamento di ingenti fondi per il potenziamento dei collegamenti tra porti e aree industriali (retroporti) e con la rete ferroviaria TNT, rendendo più facile l’accesso delle aree produttive alla via del mare. Avere le aree Zes dotate di opere di urbanizzazione primaria consentirà alle imprese di investire realmente in tale area. Occorre però sfoltire l’eccesso di sovrapposizioni di competenze: le semplificazioni di cui abbiamo già accennato, perché le autorizzazioni sono il punto iniziale di un progetto. Una cantierabilità in tempi rapidi insieme a veri poteri dei Commissari straordinari e alle strutture, anche periferiche, che li affiancheranno, faranno il resto. Nel PNRR c’è la possibilità di far riferimento ad un progetto apposito che prevede la razionalizzazione delle norme sulle procedure sul credito di imposta e sulle agevolazioni per le imprese e per l’acquisto di beni strumentali. Le Zes rappresentano un intervento importante nell’assetto geo-politico e geo-economico futuro del Mediterraneo e produrranno ricchezza non solo per i nostri territori meridionali, ma per l’intero Paese. Confindustria lo ha già compreso e ha redatto il documento sull’economia del mare. Con le Zes nascerà sicuramente un’integrazione di politica industriale e di politica dei trasporti del tutto nuova.