“Per lungo tempo il lavoro è stato nel Sud e in Basilicata più che il fattore di conquista della propria autonomia economica, la condizione per realizzare il proprio progetto di vita, una sorta di patto tra il potere e il cittadino bisognoso di lavorare dove il potere ha elargito discrezionalmente le opportunità di lavoro mentre il cittadino bisognoso acquisiva non un diritto ma una sorta di “concessione”, di regalo indebito, in quanto preferito dal potere ed altri. Una condizione questa che ha generato una dipendenza psicologica e politica che, per moltissimi anni, ha garantito il consenso alle classi dirigenti”.
Lo afferma il segretario regionale dell’Ugl Basilicata, Giovanni Tancredi per il quale, “sino a quando l’irresponsabilità politica e la spesa pubblica lo ha concesso tutto ha funzionato; ma oggi questo mondo è finito. Tra un debito pubblico alle stelle e la mancanza di lavoro in una società che cambia e si trasforma rapidamente, lo scenario è radicalmente cambiato: i beneficiari del sistema, per l’Ugl sono sempre di meno e sempre più consapevoli del ricatto inaccettabile lavoro/rinuncia alla libertà politica”. Per Tancredi, “i figli si ribellano alla cultura di dipendenza al potere dei padri, senza effetti, che non produce sviluppo, ne occupazione, e rompono lo scellerato patto tra chi detiene il potere e chi cerca lavoro, anzi convincono i padri a rompere con questo schema dannoso e sterile. Questo è quanto accaduto il 4 di marzo in modo manifesto: una rivolta innanzitutto generazionale e culturale. In qualche modo siamo giunti al capolinea, ossia alla verifica del fallimento di un modello basato sul patto prima ricordato, tante volte denunciato come infecondo, causa di tanta ingiustizia e di povertà ma di fatto mai abbandonato. D’Altronde si chiedeva questa classe politica sino a pochi mesi fa, perchè abbandonare un modello che ci dà tanto consenso? Ma i tempi cambiano e la corda si spezza. Se si ho rotto il patto di cui ho parlato non si è certo modificato l’impianto della spesa pubblica. Ed è lì che occorre intervenire. Cambiare significa porre mano al bilancio regionale, ridistribuire la spesa verso altre scelte, avere il coraggio di modificare le priorità, di concentrare le risorse verso pochi obiettivi, di ripensare il modello di sviluppo rispetto alle grandi questioni: energia, ambiente, industria, agricoltura, turismo. Significa – prosegue il sindacalista – comprendere che non possiamo rinunciare al manifatturiero, che abbiamo la necessità di favorire la crescita dell’economia reale e non solo di quella virtuale; Significa ripartire dai punti di forza della nostra economia; Significa capire quanto sia importante per la tenuta della nostra regione la presenza dell’Università e dei centri di ricerca, purchè non diventino aree di parcheggio del notabilato politico e tecnocratico regionale come è già accaduto. Occorre invertire la direzione di Marcia, consapevoli che il sottosviluppo non è un destino, l’emigrazione giovanile non è un destino, la povertà non è ineluttabile ma il combinato disposto di cattiva politica, di mancanza di visione il tutto appesantito e condizionato dalle gravi difficoltà del contesto nazionale e internazionali frutto anch’esse dell’arroganza delle tecnocrazie figlie della crisi della democrazia. Insomma abbiamo un grande lavoro da fare. E c’è la necessità di aprirci, di collegarci con le altre realtà vive del territorio, con personalità del mondo della cultura e delle professioni, insomma non ripetiamo lo stesso errore di chiuderci per paura di avere nelle nostre fila personalità competitive. Dobbiamo giocare per vincere e se si vince c’è spazio per tanti. Insomma occorre praticare una cultura politica che coniughi autonomia e libertà con i valori di partecipazione e solidarietà verso in meno competitivi, i più deboli, i più disagiati e non creare quell’assurda concorrenza tra poveri che si è creata in Italia tra immigrati e poveri di casa nostra. Sono convinto che – conclude Tancredi – la nostra cultura politica può accogliere e superare le sfide del nostro tempo se tutti recuperiamo quella passione civile e quell’etica che ha caratterizzato chi prima di noi si è impegnato per questi ideali”.