Questa mattina i lavoratori ex TIS e RMI hanno organizato un presidio nelle vicinanze dell’Università in attesa dell’arrivo del Presidente Mattarella. Al Capo Cerimoniere della Presidenza della Repubblica accompagnato dal Questore di Potenza è stata consegnata una lettera di richiesta di intervento del Presidente per superare la situazione di precarietà, lavoro nero e disconoscimento delle tutele essenziali in cui versano i lavoratori ex TIS e RMI da oltre vent’anni. Di seguito il testo integrale della lettera dei lavoratori lucani RMI-TIS.
Al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella
Signor Presidente,
siamo una rappresentanza dei 1800 nuclei familiari collocati in progetti di inserimentosociale/lavorativo , nei fatti lavoratori a tutti gli effetti che non vengono riconosciuti da parte delle pubbliche amministrazioni.
Siamo lavoratrici e lavoratori della Basilicata impegnati da anni in progetti di pubblica utilità, collocati nelle scuole, nei tribunali, nei comuni, nel verde pubblico e in tanti altri ambienti di lavoro della pubblica amministrazione, svolgendo attività dove la carenza di personale e una inesistente pianificazione di rinnovo occupazionale oltre alla compressione dei livelli dei servizi minimi da assicurare alla comunità crea disagi e disservizi agli utenti ,colmati in parte con il nostro lavoro gratuito e senza un regolare contratto di lavoro.
Negli anni abbiamo acquisito professionalità e competenze riconosciute da tutti , ma formalmente e nei fatti non siamo neanche degni di essere chiamati “lavoratori”.
Non abbiamo diritto alla malattia, ai contributi pensionistici, ad un giusto riposo, alla maternità, non abbiamo alcun diritto riconosciuto. Avremmo diritto a lavorare senza rischiare la vita, senza perderla, ma non essendo considerato il nostro un lavoro, spesso e volentieri, non abbiamo nemmeno la minima dotazione di sicurezza personale.
Sono passati decenni dal nostro primo inserimento in platee di pubblica utilità, ci hanno chiamati con i nomi più fantasiosi e disparati pur di tenerci sempre nel mondo sommerso del lavoro nero legalizzato dalle istituzioni, adesso siamo definiti “tirocinanti di inserimento sociale” e “reddito minimo di inserimento”, con ingente sperpero di fondi europei.
Assistiamo disabili, guidiamo pulmini dei comuni, visioniamo documenti e atti sensibili in comuni e tribunali, siamo presenti nelle mense scolastiche e tante altre mansioni, insomma svolgiamo un regolare lavoro ma senza un regolare contratto.
Questo si chiama lavoro nero e le istituzioni invece di combatterlo se ne riempiono i comuni.
Percepiamo un sussidio più basso di un reddito di cittadinanza, solo 550 euro al mese, questa situazione ci sta distruggendo fisicamente e psicologicamente.
Non riusciamo a pagare le bollette, a mantenere le nostre famiglie, a garantire un’istruzione ai nostri figli. Ci sentiamo umiliati e sfruttati a tutti i livelli dalle pubbliche amministrazioni, le quali si servono del nostro lavoro senza riconoscerne il merito e i diritti.
Tutto questo perché è più facile far quadrare i bilanci se una persona al posto di assumerla la marchi a vita come tirocinante, è comodo mandare avanti la macchina comunale se la regione ti assegna gratuitamente lavoratori lasciandoti meritoriamente pensare che contribuisci a strapparli dal degrado e dall’emarginazione sociale.
Per noi questo paese non è una repubblica fondata sul lavoro, è un paese gestito da rappresentanti istituzionali che usano il lavoro nero per garantire dei servizi indispensabili, questo è anticostituzionale, oltre che profondamente ingiusto.
Noi non cerchiamo un lavoro perché ce lo abbiamo già, siamo più che preparati visto che lo svolgiamo da tanti anni, quello che Le chiediamo è un intervento affinché si regolarizzi la nostra posizione lavorativa.
Le chiediamo di interessarsi perché sia emanata una legge che preveda una selezione o concorso riservato ai lavoratori impegnati in lavori socialmente utili comunque denominati, anche al di là dei tetti di spesa e delle piante organiche così come oggi determinate, come già avvenuto in precedenza per sanare le stesse situazioni. Sino a quando si userà l’utilizzo di sussidi di sostegno al reddito per ottenere lavoro nero queste situazioni si ripeteranno e si nasconderanno le migliaia di posti di lavoro coperti illegittimamente.
Chiediamo che per il futuro si faccia esperienza del fallimento della condizionalità del riconoscimento dei sussidi subordinato all’espletamento di lavori di pubblica utilità nei progetti di inclusione sociale ma che vengano instaurati veri rapporti di lavoro, con il riconoscimento di tutte le tutele previste.
La preghiamo di ascoltare il nostro grido di aiuto e di non lasciarci soli in questa battaglia di dignità e giustizia.
La ringraziamo per l’attenzione che vorrà dedicare alla nostra lettera e Le porgiamo i nostri più distinti saluti.