Alla vigilia del Primo Maggio, festa dei lavoratori, riceviamo e pubblichiamo le riflessioni sul tema dello storico materano Giovanni Caserta. Di seguito la nota integrale.
Primo Maggio, Giovanni Caserta: Quando Marco Biagi fu chiamato dalla CEI per i problemi del lavoro
“La Repubblica” di ieri, 29 aprile 2017, in prossimità della Festa del Lavoro del Primo Maggio, denunziava il fallimento del jobsact. Le faceva eco “La Stampa” di Torino, che ricordava come, nell’anno appena passato, erano diminuiti di 32.000 i contratti a tempo indeterminato nel territorio metropolitano, con aumento, invece, di quelli a tempo determinato. In fondo, si voleva dire che gli effetti del jobsact si stavano esaurendo.
Non c’è bisogno di dire che non ci sono più posti di lavoro continuo e garantito, che possano dare sicurezza e tranquillità al lavoratore e alla sua famiglia. Anche la Basilicata accusa contraccolpi del genere, mentre – 131 Comuni su 131 – sogna sul turismo. Oh, se non ci fosse la FIAT!
All’abolizione dell’art.18, frutto nel 1970 di uno Statuto dei lavoratori fortemente voluto dalle sinistre e, in particolare, dal ministro Brodolini, socialista, e dal giuslavorista Gino Giugni, socialista, doveva provvedere, purtroppo, un sedicente governo di centrosinistra, che ormai seguiva, in toto, la logicacinica della destra. La eliminazione dell’articolo 18 ha dato potere ricattatorio al padrone, insicurezza e paura al dipendente, compromettendo, di certo, la forza del sindacato e dei rappresentanti sindacali all’interno dell’azienda. Il che è decisamente ingiusto e negativo, e anzi poco cristiano.
“Amicus Plato, sedmagis amica veritas”. “Amo Platone – disse Aristotele; – ma soprattutto amo la verità”. E non voglio sottrarmi a questo imperativo categorico. Dobbiamofrancamente ammettere che tutti gli ultimi provvedimenti legislativi, in materia di lavoro dipendente, sono in gran parte frutto del pensiero del giuslavorista Marco Biagi. Che egli sia morto di morte violenta e ingiusta, da martire, vittima di ferocia insana, non deve certo significare, secondo il pensiero di Aristotele, che le sue idee non debbano essere sottoposte a critiche, anche severe. Del resto lui stesso si definiva uno “sperimentatore”. Ci dispiace non aver conservato un numero della “Stampa” di Torino, in cui si leggeva della Commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro, presieduta dall’allora vescovo di Locri, Giovancarlo Maria Bregantini, già prete operaio. Si leggeva che, in data 25 gennaio 2002, la stessa aveva convocato a Roma Marco Biagi, cattolico, richiamandolo ai gravi danni che le sue idee,favorevoli alla flessibilità e alla licenziabilità, avrebbero provocato alla famiglia cristiana e alla società italiana tutta. Non la si volle ascoltare. Di quelle idee si impadronì presto Berlusconi, a nome di tutti i datori di lavoro. Poi arrivòRenzi, scapigliato ragazzo. Di checi meravigliamo ora, se “la Festa del Lavoro del Primo maggio – conclude ‘La Repubblica’ – suscita sempre grande consenso”? In fondo, oggi come oggi, è il solo giorno in cui, più liberamente e senza paura,si può manifestare per un lavoro che non c’è, e per un lavoro che sia sicuro e tranquillo.