Quale testimonial di una nuova teoria che punta sulla biodiversità, anche in termini di creazione di valore aggiunto e sviluppo di filiere virtuose, una delegazione di produttori bio lucani associati al consorzio ATS Lucania Foods Fine and Qualitypartecipa a Torino a Terra Madre Salone del Gusto. Giunta alla dodicesima edizione, la fiera è organizzata da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e il coinvolgimento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell’ambito delle attività previste per l’anno del cibo italiano. Tra i protagonisti di questa edizione il consorzio ATS Lucania Foods Fine and Quality presenta i suoi prodotti con un stand dedicato al biologico e alla sua filiera. Le aziende partecipanti, gli oleifici Pace, Valluzzi e Frantoio Oleario Grassanese, l’azienda agricola Vignola e l’azienda Serre Alte, specializzata in produzione di pistacchio biologico, attraverso degustazioni ed incontri a tema hanno presentato le linee di prodotti frutto del lavoro bio agricolo svolto nei territori lucani di appartenenza che vanno dal Vulture Melfese, terra d’Aglianico, fino alle colline materane.
Tutelare la biodiversità agricola – sottolineano i produttori bio lucani – ha un valore ambientale ed economico e può contribuire a creare filiere ecosostenibili, efficienti e competitive. Le oltre 1.000 specie vegetali e animali oggi a rischio estinzione, tagliate fuori dalla grande distribuzione alimentare perché ritenute finora poco attrattive per il mercato, sono in realtà un asset che può valere almeno 10 miliardi di euro l’anno. Si tratta di un tesoro potenziale per il Made in Italy agroalimentare e per il turismo.
L’agricoltura –sottolineano Cia e Anabio – continua a perdere terreno, minacciata costantemente dall’avanzata del cemento, che solo negli ultimi vent’anni ha divorato più di due milioni di ettari coltivati. Un furto di suolo agricolo che procede a ritmi vertiginosi: circa 10 ettari l’ora, quasi 2.000 alla settimana e oltre 8.000 al mese, calpestando quotidianamente paesaggio e terreni produttivi. E a rischiare più di tutti gli effetti negativi di questo trend sono proprio gli oltre 5.000 prodotti agroalimentari tradizionali, che per volumi ed estensione territoriale non rientrano tra quelli tutelati a livello Ue dai marchi Dop e Igp, ma rappresentano veramente la storia e la ricchezza dell’agroalimentare italiano. Tante le antiche specialità, riscoperte e portate avanti da agricoltori-custodi, che -valorizzate e riadattate agli attuali modelli di business- potrebbero creare valore aggiunto e indotto, doppiando il giro d’affari del turismo enogastronomico italiano (5 miliardi di euro). La tipicità è l’aspetto più caratterizzante dell’agricoltura italiana, per cui il legame tra territorio e prodotto è fondamentale. Per questo -hanno concluso Cia e Anabio- tutelare la biodiversità è un dovere, ed ecco perché chiediamo alle Istituzioni di finanziare, con risorse aggiuntive, progetti di partenariato territoriali, e investimenti a favore di imprenditori agricoli che conservano e valorizzano la biodiversità agricola.
Set 21