Il giornalista materano Damiano Laterza, già collaboratore del Quotidiano, ha inviato alla nostra redazione una “orazione funebre” dedicata alla chiusura delle redazioni del giornale a Matera e Potenza. La riportiamo di seguito
Quando muore un giornale
Quando muore un giornale
moriamo un poco anche noi.
Morite soprattutto voi,
che l’avete ucciso
a colpi di condivisioni ridondanti
di tweet inutili
di copia e incolla illegali
di pdf piratati
di editoriali sbirciati a sbafo nei bar.
Voi,
che sapete leggere solo il bimbominkiese su WhatsApp
e pensate che la parola “edicola”
indichi esclusivamente una struttura di protezione per immagini sacre.
Quando muore un giornale
è un suicidio di massa.
Un suicidio di giornalisti.
Di quelli comodi comodi
coi loro supercontratti
come impiegati ai mondiali di fancazzismo
sempre troppo impegnati a difendere la poltrona
per occuparsi seriamente di informazione.
Ma anche di quelli cosiddetti freelance
che pur di continuare a scrivere
hanno scritto gratis
e tra un po’ pagheranno loro per scrivere
mentre vanno a vivere sotto ai ponti
e provano l’ebbrezza di fare spese nei cassonetti
il tutto per mantenere i privilegi dei colleghi protetti,
sperando
un giorno
di diventare come loro.
Quando muore un giornale
l’ha ucciso il sindacato,
per tenere in piedi il sindacato;
l’ha ucciso l’Ente di Previdenza,
per tenere in piedi l’Ente di Previdenza;
l’ha ucciso l’Ordine.
Chi?
…
Quando muore un giornale
chi l’ha ucciso sei tu.
E i tuoi compagni di merende:
il tuo politico preferito,
quando ha piazzato in redazione la sua amante analfabeta;
il politico che stimi tanto,
quando ha chiamato il direttore per mettere a tacere l’unico cronista ribelle della testata;
il politico che hai votato,
quando in cambio di un obolo ha imposto il silenzio su una certa inchiesta imbarazzante.
Sì, in Italia, quando muore un giornale
qualche politico c’entra sempre.
Altrimenti non saremmo dopo il Burkina Faso
nella classifica mondiale sulla libertà di stampa.
Ma ci sono anche gli inserzionisti
a uccidere un giornale.
Certo gli danno ossigeno finanziario
ma quando vendi una pagina a un’azienda
poi non puoi più parlare liberamente di quell’azienda.
E questo rende inutile un giornale.
Dunque, che muoia!
Quando muore un giornale
raramente a ucciderlo è stato l’editore.
Perché gli editori i giornali li creano,
li mantengono,
li trasformano,
a volte li distruggono.
Considerando che il giornale,
per i motivi di cui sopra,
è un’impresa antieconomica,
l’editore è quello,
paradossalmente,
con le mani meno insanguinate
poiché ha già sputato troppo sangue di suo.
Un giornale si fa per prestigio,
per vanità,
per fare lobbying,
per creare movimenti di opinione,
per disegnare scenari,
per raccontare in maniera inedita la realtà,
per svelare retroscena.
Quando muore un giornale
vuol dire che tutto questo non c’era più
e non v’è raccolta pubblicitaria che tenga.
Quando muore un giornale
moriamo tutti.
Anzi, muoriamo.
Perché muore pure la grammatica.
(Vabbé, quella era morta già prima).
Damiano Laterza
Roma, 12 gennaio 2016