Antonio Di Matteo, agricoltore di Tursi propone un “reddito di cinghialanza a tutti gli agricoltori danneggiati”. Di seguito la nota integrale.
Vogliamo abolire la caccia? Vogliamo tutelare la fauna selvatica? Vogliamo favorire l’equilibrio tra esseri umani e animali? Vogliamo fare dei cinghiali la più intelligente forma di vita in Basilicata? Nulla di più semplice: il reddito di cinghialanza. Non di cittadinanza, ma di cinghialanza. Cioè un sostegno al reddito erogato dallo Stato e dalla Regione, proprietari della fauna selvatica, agli agricoltori che vedono danneggiati i propri raccolti.
Ogni mese la Regione Basilicata si vede condannare dai vari tribunali civili per i danni che la fauna selvatica, quasi esclusivamente cinghiali, sta arrecando agli agricoltori, principalmente, e agli automobilisti. Danni spesso totali perché tutte le notti, e ultimamente anche durante le ore diurne, mandrie di decine di cinghiali pascolano indisturbate nei terreni coltivati spostandosi da un appezzamento all’altro a seconda della maturazione della coltivazione.
Si spostano per chilometri alla ricerca di acqua, di cibo, di un luogo sicuro dove pascolare indisturbati. Sono diventati in tutta Italia la quotidiana calamità naturale che gli agricoltori non sanno come contrastare. I recinti elettrici sono sempre meno efficaci essendosi i cinghiali abituati al loro funzionamento. I recinti con rete elettrosaldata sono troppo onerosi a causa dell’aumento del prezzo delle materie prime, mostrando una leggera convenienza solo per il settore ortofrutticolo a più alto valore aggiunto. Senza parlare dei danni ai pascoli, irreversibili.
Noi agricoltori non ci sentiamo più padroni della nostra azienda. Abbiamo paura di uscire la sera e circoliamo nei terreni solo sui trattori per protezione personale. Uccidono i nostri cani da guardia e le scrofe predano i piccoli mammiferi durante la fase di gestazione e allattamento. La caccia è un valido strumento ma non può bastare. Se non si modifica la normativa nazionale e si esclude il cinghiale dalla tutela della fauna selvatica, non ci sarà modo di contenere la problematica. I cinghiali andrebbero trasformati giuridicamente in ratti e come tali trattati, sterminati. Prima che siano loro a farlo con noi. Solo usando ogni possibile strumento di lotta sarà possibile rimediare all’errore fatto alcuni anni fa, quando si introdusse una razza di cinghiale non autoctona, particolarmente fertile e dalla corporatura più grande, proveniente dall’Europa dell’Est. Poi vennero introdotti i lupi, per rimediare, che ovviamente prediligono le greggi di pecore e capre o i vitellini, ai bellicosi cinghiali. Al danno si aggiunse la beffa.
In attesa di soluzioni definitive, agli agricoltori deve essere riconosciuto il giusto indennizzo ad ettaro per tutti i danni quotidianamente patiti. Altrimenti intaseremo i tribunali civili e rivendicheremo tutto il danno fino all’ultimo centesimo. La disperazione è troppa e presto gli agricoltori sapranno trasformare in azione la loro proverbiale concretezza. Lo Stato è in ritardo di 10 anni sulla questione e non ce la facciamo più ad aspettare.
Antonio Di Matteo, agricoltore di Tursi