Con un apposito decreto il Consiglio dei Ministri del Governo Renzi ha fissato al 17 aprile 2016 la data del referendum popolare sulle trivelle in mare. Di seguito i commenti del mondo politico su questa decisione.
Referendum popolare sulle trivelle in mare, nota Folino (Sinistra Italiana) dopo conferenza stampa del gruppo alla Camera dei Deputati.
Renzi e i suoi Ministri hanno una gran bella faccia tosta e dimenticano ora che sono al potere le cose che hanno detto quando erano all’opposizione. Bene ha fatto il capogruppo di Sinistra Italiana Arturo Scotto nella conferenza stampa di oggi alla Camera dei Deputati a rileggere la dichiarazione di Dario Franceschini del marzo 2011, quando da capogruppo del PD accusava il governo Berlusconi di buttare dalla finestra 300 milioni di euro non procedendo ad accorpare Referendum ed amministrative. Non solo però il governo Renzi non ha voluto l’election day (poteva fare un decreto legge discutendo rapidamente la nostra proposta di legge tesa tra l’altro a rifinanziare il sistema degli asilo), ma ha stabilito di proporre la celebrazione del referendum il 17 aprile 2016, primissima data utile per legge, con lo scopo di ridurre il tempo disponibile per una adeguata sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sperando nel mancato raggiungimento del quorum (ossia il 50,01%) degli elettori. Risultato abbastanza scontato se si considera lo sconforto degli elettori e la perdita di fiducia nelle istituzioni che si continua a manifestare con la crescente astensione nelle stesse competizioni regionali ed amministrative.
Questo ragionamento che può apparire dietrologico é invece molto fondato in considerazione della vicenda delle estrazioni petrolifere che provo a riassumere:
Con il cosiddetto “Sblocca Italia” e la previsione del “titolo unico” si è sostanzialmente dato mano libera alle compagnie petrolifere italiane e straniere sia sulla terraferma che in mare. In seguito all’approvazione di questa legge un movimento nel Paese e in Basilicata si é messo in azione per evidenziare l’incostituzionalità del provvedimento e alcune Regioni lo hanno impugnato (non la Regione Basilicata, purtroppo, nonostante la grande manifestazione del 4 dicembre 2014 a Potenza). Il movimento di protesta, in particolare per le estrazioni off shore, è continuato e 10 Assemblee legislative regionali coordinate dal Presidente Lacorazza hanno proposto diversi quesiti referendari che in prima istanza avevano peraltro superato il vaglio della Corte di Cassazione.
A questo punto il Governo ha colto l’occasione della legge di stabilità per apportare alcune modifiche che hanno vanificato i quesiti referendari, su due di questi é stato giustamente promosso un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale che nel frattempo ha ammesso un solo quesito, oggetto appunto del Referendum in questione.
In verità il governo Renzi ha approfittato (con la solita spregiudicatezza) della proposta Referendaria delle Regioni per fare una modifica molto peggiorativa ossia la soppressione del comma 1 bis del famigerato art. 38 che vincolava il rilascio dei titoli unici alla approvazione (in accordo con le Regioni) di un Piano delle aree per le estrazioni, una zeppa che gli avevamo messo nella Commissione Ambiente della Camera.
Allora una domanda sorge spontanea: se l’unico quesito rimasto sul tavolo, certamente importante, ma riguarda una sola questione è cioè il termine di durata delle concessione che la modifica rinviava alla vita naturale del giacimento, perché il Governo non procede ad una ulteriore modifica evitando così il Referendum? Se il Referendum non infastidisce il Governo perché non accorparlo e risparmiare così 300 milioni di euro?
Risposta: perché Renzi spera di sommare la scarsa partecipazione naturale al voto e di abbassare la tensione con l’argomento che nel frattempo (dopo lo scivolone sulle Tremiti) il Governo ha respinto alcune richieste delle compagnie petrolifere che ricadevano intorno o entro le famose 12 miglia dalla costa.
Con quale scopo? 1) dare un calcio alle regioni e al regionalismo e rafforzare un neo-centralismo molto presente nella riforma costituzionale.
2) Quello di continuare nell’azione concepita dalle lobby e dalle menti raffinate degli ambienti governativi che vogliono far estrarre il petrolio senza limiti, senza alcuna programmazione, consentendo mani libere alle compagnie italiane e straniere in mare oltre le 12 miglia e soprattutto sulla terraferma e neutralizzare così i movimenti ambientalisti e i cosiddetti “comitatini”, che risultano di intralcio a questa politica di distruzione ambientale ma anche civile e morale di un’Italia che ha un territorio molto fragile in particolare nella sua parte appenninica. Una politica sbagliata messa in campo quando il petrolio costava oltre 100 dollari a barile e che adesso a maggior ragione con il calo notevole del prezzo produrrà molti più danni dei benefici, limitando le altre potenzialità economiche dei territori. Con il referendum la posta in gioco va oltre le criticità localistiche connesse alle estrazioni, è in gioco il modello di sviluppo del Paese, la sua politica energetica (incerta e inefficace allo stato attuale), la tutela della natura, dell’ambiente, della salute, del territorio e anche il rapporto tra governo e governati. Per tutte queste ragioni c’è da sperare ed augurarsi che come é avvenuto altre volte nella nostra storia, il 17 aprile gli italiani facciano valere le ragioni della democrazia, della civiltà, della difesa degli interessi popolari e del territorio.
CASTELLUCCIO (FI), NON SERVE A NULLA PUNTARE TUTTO SU REFERENDUM ANTI-TRIVELLE LUNGO COSTA METAPONTINA
“Ad eccezione del Presidente del Consiglio Lacorazza, sulla decisione del Governo di non accogliere la proposta di electionday, registro l’imbarazzato silenzio di quanti, soprattutto nel Pd, hanno esultato per la recente bocciatura da parte del Mise delle istanze di ricerca petrolifera in mare, di cui alcune al largo della costa ionico-metapontina”: è il commento del consigliere regionale Paolo Castelluccio (Fi) che parla di “evidente tentativo del Premier Renzi di sfuggire alla prova degli elettori”. “C’è di più: il costituzionalista Enzo Di Salvatore pone una questione tecnica non certo irrilevante e lancia un nuovo sospetto per il tentativo di boicottare il referendum ‘spacchettando’ i quesiti. Dinanzi alla Corte Costituzionale pendono ancora infatti due conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni nei confronti del Parlamento e dell’Ufficio Centrale per il Referendum (Cassazione), che la Legge di Stabilità non aveva soddisfatto. Entro le prossime settimane dovrebbe arrivare una risposta. “Nel caso l’esito del conflitto fosse positivo – dichiara il prof. Di Salvatore – si voterebbe per altri due quesiti, uno relativo al piano delle aree e l’altro alla durata dei titoli in terraferma”. Quindi il referendum potrebbe svolgersi su tre quesiti e non solo su uno. Stando alla decisione presa dal consiglio dei ministri un quesito verrebbe presentato il 17 aprile e per l’altro bisognerebbe rinviare. Con l’evenienza che nel corso di quest’anno gli italiani sarebbero chiamati alle urne ben quattro volte: per i due referendum abrogativi sui tre quesiti, per le elezioni amministrative e per il referendum costituzionale e la sin troppo evidente difficoltà a raggiungere il quorum per la o le consultazioni referendarie. Tutto ciò – afferma Castelluccio – rafforza la mia convinzione: puntare tutto solo ed esclusivamente sul referendum per stoppare le trivelle nel Golfo di Taranto e lungo la costa metapontina non serve a nulla. Quanto allo spreco di 300milioni di euro per la mancata electionday – dice il consigliere di Fi – è il caso di ricordare che nel 2011, quando il Governo di Silvio Berlusconi non accolse la proposta di far coincidere il voto referendario con le elezioni amministrative del 15 e 29 maggio,l’allora capogruppo del Pd a Montecitorio Dario Franceschini (oggi ministro dei Beni Culturali) fu durissimo col governo, dicendo che si sarebbero “buttati dalla finestra 300 milioni di euro”.
Pietro Sanchirico, coordinatore Italia Unica per la Basilicata: Lacorazza ammetta insuccesso.
Il Governo Renzi ripete quello che ha fatto nel 2011 il Governo Berlusconi quando, nel tentativo di “sabotare” i referendum su nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento, si oppose alla richiesta dei referendari di far coincidere la consultazione popolare con le elezioni amministrative del 15 e 29 maggio 2011, sperando di impedire il raggiungimento del quorum del 50%, tentativo che però non gli andò bene. Dopo l’analoga decisione del Consiglio dei Ministri però dovrebbe essere, per primo, il Presidente Lacorazza, con il ruolo di capofila delle Regioni che hanno proposto e sostenuto il referendum, ad ammettere la sconfitta in quello che ha spacciato per “forte pressing istituzionale” nei confronti di Renzi. Il ruolo di laeder dell’autonomia regionale evidentemente non gli si addice specie se adesso l’ultima carta che gli resta da giocare è l’appello al Presidente Mattarella. Ma tra sì e no se si vuole affrontare la questione in maniera decisiva si deve aprire da subito la discussione politica sul futuro energetico del nostro Paese. Occorre che si giunga presto ad una disciplina organica e sistematica del settore e che si favorisca velocemente la transizione energetica. L’energia, infatti, è materia prima indispensabile, il cui costo incide in modo decisivo sullo sviluppo ed il mantenimento delle attività produttive, con un conseguente impatto sulla creazione e conservazione dei posti di lavoro, nonché sul prezzo dei prodotti, compresi quelli di prima necessità. Ridurre la bolletta energetica dei cittadini e delle imprese equivale, dunque, a diminuire la pressione fiscale. Infine votare in un unico giorno, è il caso di ribadirlo, avrebbe consentito un risparmio di 300 milioni di euro, di cui sicuramente il Paese ha bisogno.
“Evidentemente al Governo manca il coraggio di far scegliere agli italiani”. Così il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza (Pd), commenta la decisione del Consiglio dei ministri che “la notte scorsa – è scritto in un comunicato diffuso dall’ufficio stampa dell’assemblea lucana – ha approvato il decreto per l’indizione del referendum popolare sulle trivelle in mare, fissato per il 17 aprile 2016.
Consigliere regionale Gianni Perrino (M5s) sulla decisione del Consiglio dei Ministri sulla data della tornata referendaria prevista per il 17 aprile 2016: “Bruciare 300 milioni di € per evitare che il popolo possa esprimersi consapevolmente su un tema delicato come quello sulle trivellazioni. Questo è il PD di Renzi.”
Referendum contro le trivelle il 17 aprile: centinaia di milioni di euro in fumo! Il Presidente Mattarella ripristini l’“election day’. E Pittella? Ovviamente tace!
Si dovrebbe andare alle urne domenica 17 aprile prossimo per votare il referendum abrogativo promosso da dieci Consigli Regionali. Il condizionale è d’obbligo in quanto la decisione finale spetta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che dovrà ufficializzare quanto deliberato ieri dal Consiglio dei Ministri.
Confidiamo nel buon senso del Presidente Mattarella, ultima speranza per scongiurare un inutile spreco di denaro pubblico stimato in circa 300/400 milioni di Euro: risorse che tornerebbero utili per tamponare le tante emergenze che attanagliano la nostra “povera Patria”.
Proprio ieri il M5s Basilicata ha ribadito tutto il proprio disappunto per le imbarazzanti dichiarazioni di Angelino Alfano. Oggi vogliamo stigmatizzare il silenzio plumbeo (o nero petrolio?) di Marcello Pittella che non ha speso nemmeno una parola sull’evoluzione del percorso referendario e sulle mosse chiaramente “sabotatrici” messe in campo da Renzi e dai giganti del petrolio.
I Cittadini, anche quelli innamorati di Matteo Renzi, molto sensibile agli interessi delle multinazionali che vogliono depredare e distruggere il territorio italiano, riflettano su questo ennesimo colpo al cuore della democrazia e della volontà popolare. Non è una novità che Renzi, inquilino di Palazzo Chigi senza essere stato eletto da nessuno, stia realizzando progressivamente quanto contenuto nel “piano di rinascita democratica” della P2 di Licio Gelli. Anche la riforma del titolo V della Costituzione prevede un pericoloso accentramento dei poteri a vantaggio del Governo e a discapito delle sacrosante prerogative dei territori.
Insomma, le ultime mosse del “ducetto di Firenze” cercano di depotenziare il referendum edi imbavagliare i cittadini, paralizzando quello che resta della democrazia in Italia. Ma i cittadini sapranno reagire votando SI’ all’abrogazione di quella parte della norma che permette di trivellare sine die nei fondali dei nostri splendidi mari.
La scelta del governo di fissare la data per lo svolgimento dei referendum sulle trivellazioni nei nostri mari per il 17 aprile e’ sbagliata, una scelta truffaldina che non consente il tempo sufficiente per aprire nel Paese una discussione ampia che permetta agli italiani di decidere consapevolmente e in maniera approfondita.
Lo afferma Sinistra Italiana con Nicola Fratoianni.
L’appuntamento referendario – prosegue il coordinatore di Sel – non viene accorpato con le prossime elezioni amministrative come da piu’ parti e’ stato chiesto dalle regioni alle associazioni ambientaliste. Sinistra Italiana ha presentato un’apposita proposta di legge, semplice e snella di 2 articoli, che potrebbe essere approvata in 24 ore se solo si volesse: si risparmierebbero 300 milioni di euro degli italiani.
Con questa decisione – conclude Fratoianni – il governo Renzi rivela il suo volto, il volto di un governo di furbetti, il volto di un governo fossile di chi ama le energie fossili e chi vuole.
Assoturismo-Confesercenti: Sbagliato il no ad Electionday.
Fissare il referendum No Triv al 17 aprile, impedendo quindi l’Electionday, avrà un doppio effetto negativo: da un lato renderà più difficile raggiungere il quorum, mentre dall’altro gli organizzatori della campagna referendaria avranno meno tempo per sensibilizzare i cittadini su un tema così importante e complesso. Un esito che probabilmente farà piacere a chi si oppone al quesito referendario, ma che porterà – tra le altre cose – anche a sprecare risorse pubbliche per allestire una consultazione separata. Risorse pubbliche che avremmo potuto utilizzare in maniera decisamente più produttiva”.
Ad affermarlo è Claudio Albonetti, Presidente di Assoturismo Confesercenti, commentando la decisione del Consiglio dei ministri di fissare per il giorno 17 aprile la data per il referendum abrogativo della proroga delle concessioni relative allo sfruttamento di giacimenti sottomarini di idrocarburi entro le dodici miglia dalla costa.
“La protesta delle Regioni è quindi più che motivata. L’economia del mare e del turismo è essenziale per il futuro dell’Italia e per lo sviluppo turistico ed economico dei territori. Per questo, come Assoturismo, ribadiamo di essere assolutamente contrari allo sfruttamento indiscriminato dei nostri fondali: il mare è una risorsa da tutelare per il bene di tutti, ed è una priorità non solo ambientale, ma anche economica, come abbiamo avuto modo di sottolineare già più volte. Assoturismo e Confesercenti continueranno dunque a impegnarsi nella campagna referendaria sostenendo il voto No Triv”.
Confesercenti Potenza ricorda che tra i due conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni nei confronti del Parlamento e della Cassazione ancora pendentidinanzi alla Corte Costituzionale c’è quello riferito alla durata dei titoli in terraferma. Pertanto – evidenzia Confesercenti Potenza – la “partita” con il Governo è tutt’altro che chiusa e come confederazione di categoria siamo fortemente interessati a tutelare le attività economiche e produttive che convivono con estrazione e produzione del greggio in terraferma.