Uil-Uilp: Andare in pensione prima, perdendo però almeno una mensilità all’anno. E’ questo il rischio cui andrebbero incontro coloro che vogliono lasciare il lavoro ma non hanno ancora i requisiti, stando alle prime elaborazioni Uil in merito al prestito previdenziale per la flessibilità in uscita che dovrebbe essere tra gli elementi principali dell’Ape, l’anticipo pensionistico cui sta lavorando il governo. La via maestra – sottolinea una nota congiunta di Uil e Ulp Basilicata – è la reintroduzione di una flessibilità di accesso alla pensione a 62 anni. Il sindacato è pronto a discuterne le modalità, ma bisogna evitare soluzioni pasticciate. Il prestito pensionistico, che indiscrezioni giornalistiche attribuiscono al Governo, presenta molte criticità. Inoltre, non è chiaro il tipo di tassazione che verrebbe applicato né l’ammontare degli interessi.
Dai calcoli effettuati, abbiamo evidenziato che il prestito pensionistico è molto oneroso per il lavoratore. Ad esempio, un lavoratore che accedesse con un anno di anticipo e con un trattamento pari a 1.000 euro lordi perderebbe il 6,9% della pensione, ovvero il corrispettivo di un importo mensile netto in meno ogni anno.
La UIL esprime forti perplessità sul ruolo che potrebbe essere assegnato alle banche e alle assicurazioni.
Il sindacato basa il proprio studio sul meccanismo che probabilmente verrà adottato e cioè l’accesso alla pensione con un anticipo fino a 3 anni rispetto al requisito anagrafico richiesto, da ‘pagare’ (attraverso un prestito di un istituto di credito, garantito dallo Stato), con una rata applicata sulla pensione. Per calcolare quale potrebbe il costo per i futuri ‘pensionati in anticipo’, il servizio politiche previdenziali della Uil ipotizza un’indicizzazione del trattamento previdenziale pari all’1% per ogni anno e un tasso d’interesse applicato del 3,5%, pari a quello applicato dall’Inps per i prestiti pluriennali ai dipendenti pubblici.
Ecco il costo che dovrebbero sostenere coloro che vanno in pensione uno, due o tre anni prima del tempo con trattamenti pari a 1.000, 1.500 e 3.000 euro, nel caso che oneri e interessi li paghi lo Stato e nel caso che, invece, siano a carico del lavoratore.
PENSIONE 1.000 EURO LORDI. Stabilendo che oneri e interessi siano a carico dello Stato, per un uomo che andasse in pensione con un anno di anticipo il costo della rata sarebbe di 69 euro al mese, pari a 898 euro l’anno; per una donna sarebbe invece di 50 euro, pari a 650 l’anno. Con un anticipo di due anni nel primo caso si salirebbe a 130 al mese (1.690 l’anno) e nel secondo a 95 al mese (1.244 l’anno). L’anticipo a 3 anni, infine, costerebbe 184 euro mensili agli uomini (2.392 l’anno) e 137 alle donne (1.790 l’anno). Se invece oneri e interessi fossero a carico dei lavoratori, con l’anticipo di un anno l’uomo pagherebbe 1.138 euro l’anno e la donna 904 euro l’anno; con due anni di anticipo il costo sarebbe rispettivamente pari a 2.175 e 1.758; con tre anni, infine, 3.131 e 2.569 euro l’anno.
PENSIONE 1.500 EURO LORDI. Con oneri e interessi a carico dello Stato: l’anticipo di un anno agli uomini costerebbe 103 euro mensili e 1.348 annui, alle donne rispettivamente 75 e 975 euro; l’anticipo di due anni per la componente maschile peserebbe 195 euro al mese e 2.535 l’anno e per quella femminile rispettivamente 143 e 1.866; andare via tre anni prima, infine, avrebbe un costo pari a 276 euro al mese e 3.589 euro l’anno per gli uomini e 206 euro al mese e 2.685 all’anno per le donne. Se il pensionato dovesse invece accollarsi oneri e interessi, nel primo caso gli uomini pagherebbero 1.707 euro l’anno e le donne 1.356; nel secondo rispettivamente 3.263 e 2.637; nel terzo 4.697 e 3.854.
PENSIONE 3.000 EURO LORDI. Nel caso fosse lo Stato ad accollarsi i costi, l’uomo che va in pensione un anno prima dovrebbe pagare 207 euro al mese (2.696 l’anno), la donna 150 euro al mese (1.950 l’anno); andando in pensione due anni prima il costo sarebbe rispettivamente pari a 390 euro al mese (5.070 l’anno) e 287 euro al mese (3.732 l’anno); il conto sale con tre anni di anticipo a 552 euro al mese (7.178 l’anno) per i maschi e 413 euro al mese (5.371 l’anno) per le femmine. Con interessi a carico del lavoratore, infine, la rata aumenta nel primo caso a 3.415 euro l’anno per gli uomini e a 2.714 per le donne; nel secondo a 6.527 e 5.276 euro l’anno; nel terzo a 9.395 e 7.709 euro l’anno.
Le criticità evidenziate da Uil e Uilp: 1. Bisogna chiarire se gli interessi sarebbero a carico del richiedente o dello Stato/INPS. 2. Il Governo dovrebbe prendere in carico una quota della rata che possa essere totale o parziale, proporzionalmente al reddito da pensione spettante e in relazione alla situazione lavorativa del richiedente (disoccupato/occupato/congedo familiare/etc.). 3. va valutata la procedura di accesso ed erogazione del prestito che non dovrebbe comportare alcun onere per l’interessato se non quello di indicare il soggetto erogante il prestito, previa acquisizione e attestazione del consenso da parte di quest’ultimo. Il consenso, peraltro, dovrebbe essere condizionato esclusivamente dalla sussistenza dei requisiti per il diritto alla pensione, certificabili dall’INPS, e da nessuna altra considerazione sulla solvibilità del debitore, data la garanzia assicurata dall’INPS. 4. Va chiarito se il prestito pensionistico sarebbe considerato come operazione puramente finanziaria, come la cessione del quinto, oppure se sarebbe un trattamento previdenziale a tutti gli effetti. Tale distinzione comporta notevoli differenze: se venisse considerato come trattamento previdenziale, sull’assegno ricevuto sarebbe applicata la tassazione. In questo caso, riteniamo che la rata del prestito dovrebbe essere considerata neutra ai fini della tassazione. 5. Crediamo che per l’eventuale rateizzazione si dovrebbe individuare un valore basato su una media dell’aspettativa di vita di uomini e donne. Bisogna chiarire, nel caso di vita più lunga delle previsioni, se il debito sarebbe estinto al compimento dell’età stimata al momento del pensionamento.
Mag 08