Sulla questione dei sacchetti biodegradabili per la spesa alimentare che nei mesi scorsi ha registrato proteste e prese di posizione di consumatori lucani e loro associazioni continuiamo a chiedere che si faccia chiarezza nell’interesse dei consumatori, degli esercenti e anche della Pubblica Amministrazione, chiamata direttamente in causa. E’ quanto sostiene la Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l’Italia. Dopo il parere della Commissione del Consiglio di Stato, a cui si è rivolta il Ministero della Salute, diventa possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti. Ma – precisa la Fida-Confcommercio – perché il fine della legge sia rispettato – igiene e sicurezza alimentare – ogni esercizio commerciale dovrà, secondo le modalità più appropriate, verificare l’idoneità e la conformità dei sacchetti utilizzati dal consumatore e “in quanto soggetto che deve garantire l’integrità dei prodotti ceduti dallo stesso, può vietare l’utilizzo di contenitori autonomamente reperiti dal consumatore solo se non conformi alla normativa di volta in volta applicabile per ciascuna tipologia di merce, o comunque in concreto non idonei a venire in contatto con gli alimenti”. In termini più semplici sugli esercenti si scarica la responsabilità dei controlli sino a valutare un sacchetto è idoneo o non lo è. Francamente una situazione che si doveva evitare.
“Più volte, in questi mesi – afferma Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida – la nostra federazione ha cercato di far capire al Ministro che pur condividendo il principio di base, quello di sostituire gradualmente i sacchetti ultraleggeri in uso con altri in materiale biodegradabile, lo strumento imposto dell’Unione Europea ci pare sbagliato”. “Innanzitutto –spiega- la tempistica per l’adozione di questa norma non era così contingente da obbligarci ad essere tra i primi in Europa e poteva altresì permetterci la ridiscussione dei termini. Ci spieghiamo meglio: se la finalità era quella di preservare l’ambiente non si capisce la necessità di obbligare gli esercenti a far pagare i nuovi sacchetti perché a differenza della norma sugli shopper, vale a dire le borse per il trasporto e le borse riutilizzabili, per i sacchetti utilizzati nei reparti self service una vera alternativa di fatto non c’è”. Siamo convinti, infatti –continua Donatella Prampolini Manzini- che il parere del Consiglio di Stato si trasformerà in un boomerang sia per i consumatori che per l’ambiente. La soluzione adottata avrà effetti ben diversi da quelli delle norme sugli shopper. In quel caso il consumatore aveva un’alternativa: l’acquisto di shopper riutilizzabili. In questo caso non è possibile perché gli alimenti freschi rischierebbero di contaminarsi a contatto con sacchetti riutilizzati, indipendentemente dal loro materiale. Se l’obiettivo è quello di spingere il consumatore verso un comportamento più sostenibile per l’ambiente, in questo caso non sarà possibile e semplicemente il consumatore non potrà far altro che pagare per i nuovi sacchetti, più costosi e che il punto vendita non potrà far a meno di fargli pagare pena una sanzione dai duemila e cinquecento ai centomila euro”. “Per il consumatore –sottolinea ancora la nota Fida-Confcommercio–non sarà semplice il risparmio dei nuovi costi e per l’ambiente il rischio è che nei punti vendita lo sfuso venga gradualmente sostituito col confezionato e in questo caso si avrà l’effetto contrario a quello ricercato dal legislatore europeo perché aumenteranno gli imballaggi più inquinanti”.
Apr 05