Giuliana Pia Scarano: Segretaria generale Fp Cgil di Potenza: “Nonostante i ridondanti proclami, il 7,5% della popolazione lucana ha rinunciato nel 2022 a prestazioni sanitarie e cure. Bisogna intervenire investendo sul personale, attuando e completando la riforma per lo sviluppo dell’assistenza territoriale”. Di seguito la nota integrale.
La presentazione del sesto rapporto della Fondazione Gimbe sullo stato del servizio sanitario nazionale conferma tutte le ragioni che abbiamo posto a base della grande manifestazione del 7 ottobre. Siamo scesi in piazza a difesa del nostro servizio pubblico nazionale attraversato da processi che ne mettono a repentaglio attività e tenuta, rischiando di disperdere il frutto di quei conflitti degli anni 60 e 70 che hanno segnato il momento di maggiore qualificazione democratica del welfare italiano: la conquista dell’universalismo nell’accesso e nella disponibilità di cure e servizi, l’equità di accesso e uguaglianza, l’uniformità territoriale; il tutto attraverso finanziamenti ottenuti tramite la fiscalità generale progressiva.
Oggi, tuttavia, le sfide dell’universalismo tornano a porsi con stringente attualità: la spesa sanitaria in percentuale del Pil mostra un trend decrescente dopo il picco toccato durante la pandemia. La novità è che la riduzione si consuma anche in termini nominali: tra il 2023 e il 2024 la spesa è prevista in calo da 134,7 miliardi a 132,9, quasi 2 miliardi in meno, il 6,2% del Pil che scenderà ulteriormente al 6,1% nel 2026. Un rapporto tra la spesa sanitaria e Pil inferiore a quelli precedenti alla crisi sanitaria.
Questo progressivo definanziamento ha prodotto una situazione di crisi che si riversa drammaticamente sulla vita di cittadini, costretti a subire liste d’attesa inverosimili, che minano il diritto costituzionale alla salute e che hanno la loro radicata origine nella cronica carenza di personale, con operatori sottoposti a turni massacranti in un contesto sempre più demotivante e a rischio aggressioni. Come la stessa Corte dei conti ha evidenziato nell’audizione sulla nota di aggiornamento al Def, nonostante i piani predisposti dalle regioni, a inizio del 2023 il monitoraggio presentava ancora rilevanti criticità e ritardi di attuazione sui quali la Regione è chiamata ad intervenire al più presto per evitare una ulteriore crescita delle prestazioni a carico dei cittadini o l’aumento della rinuncia alle cure. Solo l’81% delle risorse stanziate dal governo nazionale per l’ abbattimento dei tempi di attesa è stato utilizzato dalla Regione Basilicata, tant’è che nel 2022 sono state erogate 96.335 prestazioni ambulatoriali in meno rispetto al 2019 .
Nonostante i ridondanti proclami, il 7,5% della popolazione lucana ha rinunciato nel 2022 a prestazioni sanitarie e cure perché non ha le risorse economiche per permettersi di affidarsi al privato o andare in strutture fuori regione, mentre il saldo della mobilità sanitaria passiva cresce a dismisura toccando i 63 milioni di euro.
Il quadro che emerge dal rapporto della fondazione Gimbe è chiaro e chiama forti assunzioni di responsabilità: bisogna intervenire investendo sul personale, attuando e completando la riforma per lo sviluppo dell’assistenza territoriale.
Le proposte di rimodulazione del PNRR. presentate dal governo italiano alla commissione porteranno a 414 case di comunità, 76 centrali operative territoriali, 96 ospedali di comunità e 22 interventi antisismica in meno. Come questa rimodulazione impatterà sulle previsioni dei contratti istituzionali di sviluppo sottoscritti dalla regione Basilicata legati alla missione 6 non è dato sapere.
Ma una cosa è certa: senza medici ed infermieri, case della salute ed ospedali di comunità rimarranno scatole vuote. Già oggi si fa fatica a mantenere servizi ordinari, si ricomincia a saltare i riposi ferie; d’altronde, rispetto alla media italiana di 2,11 medici ogni 1000 abitanti, la Basilicata si colloca su 1,91 medici ogni 1000 abitanti e le basse retribuzioni rispetto alla media nazionale spingono ad andare verso il privato o altre regioni dove le retribuzioni sono decisamente più elevate. Siamo al terzultimo posto tra le regioni relativamente alla retribuzione media del comparto e all’ottavo posto per la retribuzione della dirigenza sanitaria. Ecco perché andare nella direzione dell’autonomia differenziata, tanto cara anche al nostro governo regionale, è una scelta sbagliata che non potrà far altro che alimentare i divari che già oggi hanno portato la sanità pubblica a smembrarsi in 21 sistemi regionali, aumentando il gap nord-sud. E la nostra regione già oggi non è attrattiva.
Servono investimenti, ora e subito, sul fondo sanitario nazionale ed un piano straordinario di assunzioni per tutte le professioni sanitarie, potenziando la forza lavoro del servizio Sanitario impegnata nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. La garanzia di un diritto universale alla salute dovrà sempre più nel tempo misurarsi con un bisogno di servizi sanitari e sociosanitari in tendenziale aumento per effetto di un incremento dell’invecchiamento della popolazione a cui si sta accompagnando un calo delle nascite e della popolazione attiva. Questa importante stagione di investimenti e di riforma in sanità richiede una programmazione finanziaria pluriennale di risorse aggiuntive e stabili, tanto a livello nazionale quanto a livello regionale, e il superamento degli attuali vincoli di spesa per il personale, nonché il limite relativo all’ammontare complessivo dei fondi contrattuali di finanziamento del trattamento economico accessorio.
La Regione Basilicata faccia la sua parte assumendo iniziative verso il governo nazionale per stanziare le necessarie risorse per il servizio sanitario nazionale e provveda ad utilizzare totalmente le risorse disponibili per le assunzioni, considerato che ci sono ancora importanti spazi di manovra (come riportato da fonte Agenas risultano ancora 54 milioni di euro sul tetto di spesa del personale non utilizzati), e metta a disposizione ulteriori risorse per retribuire tutte le attività che prestano questi professionisti per garantire i Lea. Si inizi dal dare una guida stabile e qualificata alle aziende del servizio sanitario regionale, considerato che nuovamente due aziende su quattro si ritrovano, da quanto emerge in questi giorni, senza una guida. Questa è la via maestra per rendere esigibile il diritto alla salute come diritto sociale di libertà garantendone l’universalità e l’effettività.