I controllori del ministero visitarono lo stabilimento e finirono a pranzo con i cinesi. L’Ugl chiedeva chiarezza sulla fabbrica che non ha mai prodotto oro.
“Come è già avvenuto in altre circostanze, doveva esserci anche l’interesse della magistratura oltre a quella dell’Autorità decentrata del Governo che poteva agire come in altre vertenze in merito alla questione dell’azienda Sinoro di Tito Scalo. Oggi ancora se ne parla ed assistiamo ad un film già visto dal titolo, ‘svendite e sprechi’ “.
E’ quanto espongono i segretari dell’Ugl Basilicata, Giovanni Tancredi e Pino Giordano per i quali, “già anni fa ed in tempi non sospetti l’Ugl chiese un incontro urgente al ministro Scajola, all’assessore regionale Straziuso ed a Confindustria Basilicata per verificare e trovare soluzioni alle enormi difficoltà e gravi problemi che vivevano giornalmente i lavoratori. Chiedevamo inoltre di sapere se erano a conoscenza dell’attività fallimentare e delle problematiche dei lavoratori che quotidianamente vivevano in maniera non dignitosa, sul lato umano, professionale e lavorativo gestita coi fondi nazionali e regionali e che portava solo fallimenti e nessun benessere all’occupazione. Gli ispettori del ministero dello Sviluppo economico visitarono lo stabilimento Sinoro di Tito e finirono a pranzo con i cinesi. L’Ugl chiedeva chiarezza sulla fabbrica che non ha mai prodotto oro. Ma chi pensò subito ‘sarà forse questa la volta buona per mettere fine alla ‘sporca’ storia dello stabilimento, che si trascinava ormai da più di 30 anni, dovette subito ricredersi. E non solo perché l’ispezione non aveva affatto l’aspetto di una visita a sorpresa, come dimostrava il fatto che gli amministratori cinesi, quasi mai presenti nello stabilimento di Tito, neanche a farlo a posta, quel giorno di buon ora erano a Tito Scalo. I risultati dell’ispezione non sono stati mai resi noti. Ma cosa ci facevano gli ispettori romani alla Sinoro? Va detto che – proseguono Giordano e Tancredi – su pressioni dell’Ugl Basilicata, proprio il ministero aveva chiesto un parere alla Regione Basilicata per decidere sulla revoca dei fondi pubblici che erano stati riconosciuti all’azienda come fondi della ex 219, cioè quelle risorse destinate all’industrializzazione delle zone terremotate. La revoca era stata disposta per un unico motivo: in tutti gli anni il più grande investimento cinese in Italia non aveva mai prodotto nemmeno un grammo d’oro. E, nonostante i vari annunci, la produzione non è mai partita. Quel che è più sconcertante è che all’interno della fabbrica, che evidentemente serviva a tutto tranne che alla realizzazione di monili in materiale prezioso, c’erano 14 lavoratori. Nel 2007, infatti, il management cinese aveva promesso per l’ennesima volta di essere sul punto di avviare la produzione ma solo con una quindicina di unità. Per tutti gli altri fù firmata la mobilità. E, a distanza di tutto questo tempo, i lavoratori che rimasero all’interno non svolsero nessuna mansione. Ma nemmeno questo sembrò essere balzato agli occhi degli ispettori. Sarà interessante capire quali furono i risultati finali. All’ingresso dell’azienda di Tito venne sostituita l’insegna della Sinoro s.r.l. con la targa Sinorp srl: denunciammo anche tutto ciò – continuano Tancredi e Giordano dell’Ugl – ma, mai si è fatta luce a questa intricata vicenda lavorativa, al fine di verificare ed avere risposte in merito dell’attività fallimentare nella citata azienda. Invitavano inoltre gli ispettori, a prendere visione delle coperture di amianto che si trovavano all’interno dello stabilimento. L’ispezione del ministero poteva essere l’occasione attesa per anni di fare chiarezza su questa brutta storia ma, non è stata veramente così”.