Sul numero di luglio 2024 di Archeologia Viva pubblicate le Scoperte archeologiche nel Ayn Tidil Motherwell Qanat ad Alula Arabia Saudita (a cura di IPOGEA per la Reale Commissione di Alula).
In un affascinante scavo archeologico condotto da IPOGEA coordinato dal materano d’adozione Pietro Laureano e l’Università di Bologna con l’Archeologo Simone Mantellini rper conto della Royal Commission di Alula, è stato
riportato alla luce il Qanat di Ayn Tidil, situato nel cuore della antica Alula. Le scoperte rivelano arcaici sistemi idraulici all’origine all’oasi e forniscono nuove chiavi di lettura sulla storia della regione. La comprensione dei cambiamenti climatici avvenuti nel corso del tempo in queste aree ora desertiche, e dei modi in cui le
genti hanno reagito con tecniche adattate, danno soluzioni per l’aggravarsi contemporaneo delle condizioni climatiche e la mancanza di acqua.
Il Qanat Tidill è tra i qanat più antichi di Alula. Nella tradizione è considerato di origine pre islamica e fatto risalire ai tempi dei più antichi profeti. Ma nonostante la sua memoria sia fortemente radicata non era possibile riscontrarne traccia visibile in superficie. Il luogo dove è stato effettuato lo scavo è chiamato l’Ain Tidill ed è
comunemente considerato il Pozzo Madre, il punto d’acqua di origine del Qanat. Il sito ha una enorme importanza nella memoria e identità dei cittadini dell’Oasi ma dal tempo del suo abbandono il 1982, quando
i Qanat furono sostituiti da pompe e acquedotti moderni, era diventato una discarica e si era persa completamente la struttura sotterranea, l’andamento del tracciato e la localizzazione dei pozzi dei condotti che sboccano in superficie, ormai occultati da detriti. Per rintracciarli all’interno dell’area indicata come Pozzo madre e quindi di possibile localizzazione si è proceduto usando la conoscenza dei modi di funzionamento dei qanat la cui geometria e struttura che è rigorosamente organizzata rispetto al contesto geomorfologico e ambientale.
I Qanat sono strutture sotterranee caratterizzate da condotti verticali che emergono attraverso pozzi. Questi complessi dispositivi idrici richiedono conoscenze avanzate di idrologia, topografia e lavori di scavo. Il pozzo P1 è stato il primo ritrovamento dello scavo, rivelando un condotto verticale in pietra perfettamente conservato collegato ad un tunnel orizzontale che forniva acqua all’antica città di Alula. Questa struttura è uno straordinario
esempio di ingegneria antica, costruita senza l’uso di cemento o malta. Il pozzo P2, situato più a monte, ha messo in luce un altro condotto verticale collegato al tunnel orizzontale con alcune diramazioni laterali, suggerendo una complessa rete di distribuzione idrica. Lo stesso tunnel orizzontale è stato ritrovato in condizioni sorprendentemente ben conservate, interamente costruito in pietra.
Questa scoperta unica offre preziose informazioni sulla tecnologia Qanat che non erano semplici condotti per convogliare l’acqua ma riuscivano a produrla grazie alle capacità drenanti alla condensazione della umidità.
Alla scoperta dei pozzi P1 e P2, condotti verticali dell’antico qanat, se n’è aggiunta un’altra: un caso unico nelle conoscenze che abbiamo sui qanat. Le due bocche di P1 e P2 sono collocate all’interno di un grande invaso che abbiamo chiamato P3. Il qanat si innesta su questa struttura che quindi lo precede nel tempo. Si tratta di un cratere
semicircolare con il bordo superiore di circa 40 metri di diametro, quello inferiore di 12 metri e una profondità di 7 metri a partire dalla parte scavata attualmente (che scende nel sottosuolo di altri 4 metri). Lo scavo ha per ora messo in luce gran parte dell’invaso artificiale di questo enorme pozzo. Esso costituisce la testimonianza di un periodo più umido ed è rapportabile all’epoca dei grandi pozzi a cielo aperto delle antiche civiltà arabe e mesopotamiche. Ad esempio, nell’oasi storica di Tayma, a nord di AlUla, il pozzo Hadaj, considerato finora il più grande dell’Arabia con un diametro di 18 metri, si data al I millennio a.C. mentre il suo impluvio di raccolta è stato utilizzato fino dal IV millennio.
L’oasi di Alula ha una storia millenaria, testimoniata dai manufatti delle civiltà Dedanita, Lihyanita e Nabatea che si succedettero dal IV secolo a.C. al IV secolo d.C. L’area ha svolto un ruolo cruciale lungo la via dell’incenso e ha acquisito ulteriore importanza durante l’era islamica. I ritrovamenti archeologici rivelano vicende ancora più
antiche, con testimonianze della presenza umana risalenti al periodo preistorico, attestate da petroglifi, recinti e strutture in pietra. Questa antica civiltà sviluppò metodi ingegnosi per la gestione delle
risorse idriche, utilizzando le cosiddette “acque nascoste” attraverso la raccolta dell’acqua piovana, dell’umidità atmosferica e della condensa notturna. Furono necessari grandi sforzi e continue capacità
di adattamento per realizzare e mantenere in vita l’oasi, nella piena consapevolezza e cura degli equilibri naturali. La salvaguardia di questo delicatissimo ambiente desertico antropizzato è stata accompagnata dalla carica di simboli e significati di cui sono investiti gli spazi in un continuo processo autopoietico in cui tecnica e spirito, conoscenze ambientali e concezione religiosa, pratiche materiali e bellezza non sono mai separati. È significativo
in tale senso il nome che viene ancora dato al luogo del “pozzo madre”, Ayn Tidil. Tidil è un toponimo arcaico preislamico usato per indicare una divinità femminile, signora del mondo notturno. L’astro
della Grande Madre (Luna o Venere) sorge sulla montagna e porta l’umidità che si condensa e raccoglie nell’impluvio. Quindi “pozzo madre” è allo stesso tempo una denominazione tecnica e un termine
sacro legato alla femminilità e all’acqua: è il grembo della vita, matrice, origine e destino dell’oasi.
Lug 08