Summa (Cgil Basilicata): “Il 25 aprile in questo tempo di Covid. E’ in ogni classe lavorativa che ha mostrato un forte senso di Resistenza. La ricostruzione dalle macerie sociali e strutturali è possibile solo con uno slancio di generosità condivisa”. Di seguito la nota integrale.
Ricostruire una società dopo un qualsiasi conflitto è una sfida faticosa e quasi mai indolore. Il 25 aprile, in questo tempo di Covid, ci insegna che la ricostruzione dalle macerie sociali e strutturali è possibile solo con uno slancio di generosità condivisa.
Per la storia repubblicana e nell’immaginario nazionale il 25 aprile ha una portata straordinaria. Una forza popolare trasversale per classe e reddito si ribellò a un potere autoritario e criminale, quello del nazifascismo. Un potere basato sulla violenza e che aveva disseminato l’Europa di morte, terrore e prepotenza psicologica e fisica.
I tanti plagiati dalla propaganda, quelli in silenzio per paura di ritorsioni fisiche, altri per convenienza, restarono incatenati nelle maglie del regime fino al momento in cui il sacrificio di donne e uomini che non si accomodarono tra le file del fascismo dette vigore e voce all’insofferenza diffusa lungo l’intera nazione attraverso il movimento della Resistenza che coinvolse operai, contadini, studenti, artigiani, professionisti.
Una Resistenza che si diffuse da nord a sud. Anche la Basilicata contribuì in maniera decisa alla liberazione: Matera è stata la prima città a insorgere contro il nazifascismo e i cittadini di Maschito, nel Vulture, proclamarono la prima “Repubblica antifascista e democratica” d’Italia. Non fu un momento facile per l’Italia, ci furono lacerazioni individuali e collettive che erano necessarie per ottenere la libertà persa e iniziare quel percorso di democrazia che portò alla nascita della Repubblica e della costruzione della Costituzione Italiana a cui oggi ancora guardiamo come riferimento di coesione, giustizia sociale e libertà.
Oggi nel 2021, a oltre 70 anni dal quel 25 aprile 1945, l’Italia e il mondo intero attraversano un periodo altrettanto grave dettato dalla pandemia del Covid, che sta lasciando dietro di sé macerie sociali ed economiche che richiamano i periodi post bellici. Il Covid ha mostrato tutti i limiti e le deficienze strutturali del nostro Paese, sfiancato da anni di politiche di demolizione dello Stato sociale, del sistema sanitario, dalle privatizzazione dei servizi pubblici, dalla mancanza di tutela del lavoro e delle classi più indifese.
Oggi come allora, dalla Resistenza antifascista al Covid, è necessario un nuovo patto costituzionale e di coesione nazionale con atteggiamenti e indirizzi che seguano principi universali e non interessi particolari, con politiche pubbliche di impianto e orientamento in direzione opposta a quelle deliberate negli ultimi decenni. Serve un modello di sviluppo che metta al centro lavoro e buona occupazione per ricostruire il paese in un momento di grave crisi sanitaria, economica e sociale assicurando a tutti i medesimi livelli di protezione secondo i cardini della nostra Costituzione figlia della Resistenza. Liberazione dal Covid deve oggi significare anche liberazione dalle devianze del neoliberismo rimettendo al centro l’interesse collettivo, il bene comune perché liberazione significa che non si è e non si potrà essere mai più come prima.
Durante l’occupazione tedesca molte le storie di fabbriche abbandonate dai padroni, che furono salvate e protette dagli operai. Oggi i “figli delle officine” 4.0 sono in prima fila, a resistere, andando a lavorare in condizioni critiche sia in termini di sicurezza sanitaria sia in termini di precarietà esistenziale. Oggi ogni classe lavorativa ha mostrato un forte senso di resistenza.
Il 25 aprile non è una data da commemorare per un Paese: il 25 aprile è la festa della Liberazione e ci deve ricordare e insegnare come un intero Paese può superare i momenti più tragici della sua storia solo con uno spirito unitario e costituzionale che non privilegi alcuni e discapito dei tanti.