Tavolo Verde: Una lezione di politica e di economia agraria per chi è “impegnato” nella politica agraria. Di seguito la nota integrale.
Da un po’ di tempo si parla di prezzi medi del grano duro oscillanti fra i €280,00 e €350,00 tonnellata; anche l’ISMEA Mercati e Borsa Valori cereali insistono e martellano continuamente su questi dati.
Vien da chiedersi chi ha stabilito questi prezzi? Sulla base di quali costi? E’ il risultato di domanda e dell’offerta del libero mercato; e in questa fase si può parlare di mercato libero visto che il monopolio di materia prima e detenuto da Casillo, Barilla, Divella e De Cecco e via dicendo?
Prezzi difesi a spada tratta e con menzogna da coloro i quali li hanno decisi in combutta con la politica e con chi governa i mercati. Certo è che le entità economica così come ci vengono presentate non coprono il costo di produzione, non solo di quelle aziende che operano nella media collina e nelle aree cerealicole non irrigue, ma anche di quelle a vocazione cerealicole.
Ciò nonostante vi è in atto una campagna propagandistica ben foraggiata e mistificatoria finalizzata a indurre i produttori ad appagarsi anche di offerte inferiori. Tavolo Verde Puglia e Basilicata ritiene che tali tentativi debbano essere preventivamente messi al bando attraverso un intervento formale ed ufficiale concordato da due Ministeri Competenti e al contempo sempre con formali atti si definisca un prezzo di vendita in azienda non al di sotto di €500,00 tonnellata. Il Ministero dell’Economia e Finanze disponga sul territorio nazionale a partire da subito una fitta rete di controllo, di informazione e tracciabilità al fine di garantire al produttore agricolo equi prezzi di vendita e trasparenza nella movimentazione della merce.
Tavolo Verde ritiene che in questa particolare fase tale misura sia indispensabile per evitare atti speculativi e conoscere preventivamente le produzioni interne e eventuali fabbisogni esterni. Facendo tesoro di alcuni dati pregressi: l’Italia produce complessivamente una massa di sette milioni di tonnellate di cui poco più di quattro milioni di duro e circa 3.000.000 di tenero; questi dati ci offrono un quadro di insieme di quanto valesse il comparto grano duro nella campagna 2022, è precisamente €3.500.000.000. Nel corso del 2023 se malauguratamente verranno confermati i prezzi correnti i valori del comparto scenderebbero a €2.300.000.000 con una perdita secca di €1.200.000.000. Specificatamente il comparto subirebbe una flessione del 33% circa.
Volendo considerare i riflessi sull’agricoltura meridionale, le regioni più colpite sono la Sicilia insieme alla Puglia e alla Basilicata poiché producono una quantità di grano duro superiore al 50% di quella nazionale.
La sola Basilicata produce 3.400.000 quintali di duro di alta qualità dopo la Puglia e la Sicilia. Per certi versi il comparto cerealicolo lucano anche per le aree interne, ha assunto carattere strategico per la sopravvivenza dell’agricoltura.
La posta in gioco quindi per l’economia regionale è senza alcun dubbio molto elevata i cui riflessi si colgono sul piano socioeconomico del 60% delle aziende, cosi come si colgono le conseguenze negative nei bilanci aziendali poiché per coltivare un ettaro a grano il produttore impiega più di 1.000,00 €/ettaro. Un semplice raffronto fra il valore della produzione sull’unita di superficie e i costi sostenuti ci danno la inconfutabile perdita che il produttore subisce. Ancora una volta a pagare le conseguenze delle speculazioni, delle strumentalizzazioni e del connubio fra malaffare e poteri forti sono i lavoratori della terra, impegnati a produrre per se e per gli altri.
Di fronte ad una situazione sull’orlo del disastro le cui conseguenze travolgerebbero l’intera filiera alimentare.
Sono giustificati i silenzi, l’indifferenza e il disprezzo di chi è stato chiamato e pagato a rappresentare le istanze del mondo agricolo? Anche le pietre direbbero “no”. Che fare?