Domenico Palma, segretario regionale Feneal-Uil Basilicata, ha inviato una nota per commentare la manifestazione promossa a Genzano con tanti caschi di edili su sedie vuote.
Tra i caschi degli edili sulle sedie vuote alla manifestazione di Genzano, a testimonianza di lavoratori che nei cantieri non ci sono più, e l’appello che non ti aspetti che viene dai Giovani di Confindustria (“Scateniamoci”) ci sarà una chiave di lettura meno sindacalese perché quando i lavoratori (proprio come i titolari di impresa) perdono la speranza di avere un futuro per se stessi e per i figli significa che la società nella quale stanno vivendo è in un profondo declino, economico, politico e culturale.
L’identificazione con i valori condivisi, che sono quei valori che creano la coesione sociale, vengono meno e gli egoismi si fanno più grandi tanto da alimentare l’interesse personale, giustificato da una forma di amor proprio per la sopravvivenza.
Non è l’egoismo interessato del macellaio di Adam Smith e neppure la vanità orgogliosa, diventa narcisismo che, come è noto costituisce una delle molle potenti dell’amore.
L’interesse, invece, occupa anch’esso un posto importante della vita degli uomini moralisti, anche se si distingue per contenuto a geometria variabile, infatti il self-love di Adam Smith è stato per lungo tempo scambiato per egoismo nel celebre apologo del macellaio e birraio. Per la verità è difficile immaginare quei piccoli commercianti che forniscono il miglior pasto al minor costo mossi unicamente dall’amor proprio. La stessa cosa vale per i lavoratori, Nietzsche, (” Aurora III, p.206) cita: ” Povero,allegro e indipendente! -queste tre cose insieme sono possibili; povero,allegro e schiavo! – anche queste sono possibili-e della schiavitù di fabbrica non saprei dire agli operai niente di meglio, posto che essi non sentono in genere come ignominia l’essere adoperati, come accade, a guisa di ingranaggi di una macchina e per così dire come tappabuchi della umana inventività. ecc.”.
Sembra, per dirla crudamente e con un elemento di forzatura, il lavoro è un’invenzione della borghesia. Di ciò si trova riscontra nel XVI e il XVII secolo, una propaganda “lavorista” , per dare discredito all’aristocrazia, la borghesia affermava con lo slogan ” Chi non lavora non mangia”.
Questa formula, presa in prestito da San Paolo e già recuperata nell’etica monastica e poi protestante, acquista una nuova portata. I contadini e i manovali non potevano che approvare questa ideologia e solidarizzare con la borghesia artigianale e commerciale. Il fatto curioso della vicenda è che nemmeno i borghesi lavoravano veramente. E’ fuori di dubbio che i borghesi intraprendenti del capitalismo nascente erano straordinariamente attivi, a differenza degli aristocratici che vivevano di rendita, la loro attività però non corrispondeva a quello che può definirsi il paradigma del lavoro.
Questo paradigma è il risultato della giustapposizione contraddittoria di un immaginario emancipatore e di una realtà di asservimento. L’immaginario è quello dell’uomo faber ( o dell’uomo habilis), e più precisamente l’ideologia dell’artigiano libero che vive del frutto del suo lavoro per soddisfare i propri bisogni.
In queste poche battute si coglie un pilastro immaginario dell’economia classica. Nel momento stesso in cui l’ideologia lavorista ( in particolare con Locke) fonda la sua legittimità del potere della borghesia e del suo diritto di proprietà, la realtà del lavoro salariato asservisce e abbrutisce il lavoratore, senza lasciargli alcuna speranza di diventare mai proprietario. Da parte loro, i proletari hanno preso molto sul serio questa costruzione ideologica. E l’hanno ribaltata con un certo successo contro la borghesia stessa, appropriandosi del motto “A ciascuno secondo il proprio lavoro” e affermandosi come “veri lavoratori”. Resta il fatto che naturalizzando il lavoro si naturalizza l’intera economia. E di conseguenza ci si priva dei mezzi per comprenderla e ancor più per uscirne. Per dimostrare la nostra idea di una genesi del lavoro, è necessario toccare con mano, sia pur brevemente, lo scandalo dell’assenza del lavoro nelle società precapitaliste o pre borghesi, e analizzare come lavoro si istituisce nell’immaginario e nella realtà dell’occidente moderno.
Quindi l’ideologia economica nella quale siamo immersi ci ha abituati a credere fermamente che tutte le società hanno una vita economica e ricorrono al lavoro per sopravvivere.
D’altra parte, un esame storico-sociale porta a concludere che le società umane che hanno sentito necessità di inventare il lavoro sono estremamente rare. Il lavoro è immaginabile soltanto all’interno del campo semantico dell’economia politica, campo a sua volta indissociabile dall’emergere dell’economia politica come pratica sociale.
L’invenzione del lavoro implica dunque gli stessi presupposti di quella dell’economia politica: naturalismo, edonismo e individualismo.
E allora prima che sia il presidente di Confindustria Squinzi ad annunciare che in piazza scenderà chi non ha futuro ci deve pensare il sindacato.
Domenico Palma, segretario regionale Feneal-Uil Basilicata