I fagioli di Sarconi – che hanno ricevuto dal Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi della Basilicata l’ennesimo “riconoscimento salutista”, quale “tesoro” della Dieta Mediterranea – sono tra gli ingredienti di maggior successo dei numerosi piatti degli “agrichef”, i nuovi chef degli agriturismi aderenti al circuito Turismo Verde-Cia, con la mission di portare la biodiversità in tavola per la massima valorizzazione dell’agricoltura e assicurare il benessere e la salute dei consumatori.
Sono soprattutto le numerosissime donne ai fornelli delle cucine delle nostre aziende di ospitalità rurale e – spiega Matilde Iungano che oltre ad essere presidente di Donne in Campo Cia e lei stessa chef – i primi custodi di questi valori e portano sulle tavole un menù autenticamente contadino dove non possono mancare i fagioli di Sarconi, proposti in tanti piatti diversi, i cruschi di Senise, i formaggi locali, la pasta in casa, le verdure di stagione e la carne podolica. Siamo orgogliosi di avere proposto questi menù all’Expo di Milano e posto l’accento sul valore agricolo in tavola -continua – e c’è soddisfazione nel constatare che anche altre organizzazioni agricole ora replicano il nostro progetto, assumendo la denominazione di Agrichef. Perché il primo scopo è dare valore all’agricoltura offrendo attraverso i nostri menù biodiversi un’occasione di consapevolezza al consumatore”.
Di qui – sottolinea la nota della Cia – l’idea del primo Festival degli Agriturismi con una formula del tutto originale in quanto è il primo tentativo mai fatto in Europa di proporre una positiva contaminazione tra la biodiversità in cucina. Abbiamo fato questa scelta -sottolinea Cinzia Pagni, vicepresidente vicario di Cia con delega all’Expo -perché siamo convinti che attraverso l’esperienza diretta del gusto i consumatori possono percepire l’enorme valore della nostra agricoltura. Dal campo al piatto non è uno slogan, ma un’esigenza alimentare da un lato per assicurare cibo sano e corretta nutrizione e dall’altro un modo per far comprendere il valore anche culturale dell’agricoltura”.
Un valore che gli italiani hanno ben compreso e ancora di più i turisti stranieri, che hanno fatto crescere tumultuosamente il comparto agrituristico che in Italia conta su oltre 18.000 aziende di cui: 15.334 con alloggio, per un totale di 189 mila posti letto; 8.928 con ristorazione (337.385 coperti circa); 3.140 con escursionismo; 1.615 con equitazione; 2.398 con mountain bike; 1.407 con corsi, soprattutto di cucina. Il 51,4 % si trova in collina, il 34,4 % in montagna, il 14,2% in pianura. Di questi il 50,4% al Nord, il 31,6% al Centro, il 18% al Sud e nelle isole. Il fatturato del comparto è stimato in circa in 6 miliardi di euro.
Si è assistito negli ultimi anni all’inversione di Feuerbach. Non siamo più ciò che mangiamo, ma mangiamo ciò che siamo. Omologati, globalizzati, stressati dalla percezione di un tempo che si restringe sempre di più. Questo ha portato allo strabismo gastronomico: da una parte la cucina -come l’avrebbe definita Artusi- di parata operata spesso dai “cuochi d’artificio”, quelli che badano più all’apparenza che alla sostanza, dall’altra una cucina sempre più standardizzata dove più che il sapore conta il prezzo. Eppure nei consumatori è cresciuta la consapevolezza che la cucina ha un valore culturale e identitario, che la nostra salute dipende in larga misura da come ci alimentiamo e che la dieta mediterranea -riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco- è il regime alimentare più equilibrato e sano. Così se da una parte è in declino la cucina degli effetti speciali, dall’altra emerge il bisogno di chi siede a tavola della cucina dell’esperienza e della buona sostanza.
La Cia porta all’Esposizione Universale di Milano una nuova consapevolezza gastronomica, aggiungendo al claim di Expo un valore in più: non solo nutrire il pianeta, ma “come” nutrire il pianeta. E la risposta è una sola: seconda natura. Recuperando nelle abitudini alimentari il valore della cucina come identità e del cibo come espressione dell’agricoltura di prossimità. Dal campo al piatto: non è uno slogan ma un’esigenza gastronomica e una risposta alla domanda alimentare, che vale in Italia ma è un protocollo universale.
Ma – sottolinea Matilde Iungano – vi è un’ulteriore ragione per cui rilanciare il mangiare secondo campagna diventa decisivo. In questa prassi gastronomica si ha la dimostrazione della centralità dell’impresa agricola che dal campo al piatto chiude la filiera e che, dal campo al piatto, trasforma la coltura in cultura, assicurando il giusto reddito all’impresa medesima. Un protocollo che vale sommamente in Italia ma che la Cia ha l’ambizione di proporre a tutti gli agricoltori del mondo che possono, attraverso l’esperienza gastronomica, comunicare al consumatore il valore del lavoro agricolo, il sapore delle materie prime agricole -e qui la biodiversità gioca un ruolo fondamentale- che si fanno buon cibo, cioè sano sostenibile e funzionale, e il calore del contesto rurale dove alimentarsi torna ad avere lo spessore della convivialità e della consapevolezza.
Scriveva Jean Anthelme Brillat Savarin nella Fisiologia del Gusto: «È necessario per gustare un piatto che sia chi lo cucina come chi lo gusta posseggano entrambi l’exactitude». L’exactitude è la capacita di comprendere non solo i sapori, ma le ragioni di un piatto ed è l’abilità di prepararlo e di gustarlo secondo prassi che prevedono l’ascolto delle materie prime e dei processi di trasformazione. È esattamente quello che fanno gli Agrichef e che può apprendere chi si siede queste tavole dove si mangia “secondo campagna”.