Nelle tasche dei lavoratori lucani dipendenti nei primi cinque mesi dell’anno in corso che, a causa del Covid19, sono stati posti in cassa integrazione, mancano 17,9 milioni di euro. È quanto emerge da un’analisi condotta dalla UIL-Servizio Lavoro, Coesione e Territorio che ha elaborato i dati Inps delle ore autorizzate di integrazione salariale su cui sono state condotte le simulazioni su una retribuzione lorda annua di 20.980 euro (retribuzione media del settore privato). Ma quanto incide questa perdita sulle singole retribuzioni mensili dei dipendenti? In dettaglio 10,3 milioni di euro riguardano i lavoratori collocati in cig ordinaria, 4,1 milioni quanti hanno utilizzato i FIS e i Fondi di solidarietà bilaterale, 3,2 milioni la cig in deroga. La Uil ha inoltre calcolato l’ammontare delle ore di cig nei cinque primi mesi (gennaio-maggio) 2021 che complessivamente ammontano a 11,5 milioni di ore di cui 6,6 milioni per la ordinaria, 2,6 milioni per FIS e i Fondi di solidarietà bilaterale e 2 milioni per la cig in deroga. La perdita netta media in cinque mesi è di 3.185 euro procapite (stipendio netto senza cig 16.810; stipendio con cig 13.625).
Tra riduzione dello stipendio e mancati ratei 13° e 14°, spiega Ivana Veronese – Segretaria Confederale UIL, in cinque mesi le buste paga si sono alleggerite mediamente del 19%. A fronte di circa 1,4 miliardi di ore di cassa integrazione autorizzate nei primi cinque mesi del 2021, i beneficiari hanno perso, mediamente fino a qui, 3.185 euro netti. Nella riforma più complessiva degli ammortizzatori sociali che il Governo si appresta a varare, sottolinea Ivana Veronese, oltre che rendere universale lo strumento e legarlo a politiche attive, si pone la necessità della revisione dei tetti massimi del sussidio delle integrazioni salariali e la loro rivalutazione, che dovrebbe essere ancorata agli aumenti contrattuali e non soltanto al tasso di inflazione annua.
“La riforma degli ammortizzatori sociali, sempre più urgente – aggiunge il segretario della Uil lucana Vincenzo Tortorelli – non può essere fatta a costo zero, e perciò servono risorse adeguate, e inoltre dovrà essere fondata su due pilastri: quello solidaristico e quello assicurativo. In sostanza, gli ammortizzatori sociali dovranno coprire tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, ma l’onere non potrà essere scaricato sulla fiscalità generale: le aziende dovranno fare la loro parte, magari anche individuando un meccanismo di bonus-malus. Inoltre bisognerà prevedere politiche attive del lavoro, dare centralità al sistema bilaterale e costruire percorsi formativi e di riqualificazione professionale. Non si sottovaluti – aggiunge – che I numeri della sofferenza causata dalla pandemia sono ancora molto visibili nel nostro mercato del lavoro. Il dato di maggio, diffuso oggi dall’Istat, pur mostrando una lievissima ripresa occupazionale nell’ordine dello “zero virgola”, mantiene intatta la criticità della maggiore difficoltà delle donne ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro come testimoniano sia il dato della flessione occupazionale femminile, che l’ampio e strutturale gap delle lavoratrici rispetto ai lavoratori che presenta una forbice di 18,1 punti percentuali. Inoltre, nonostante resti purtroppo alto il tasso di disoccupazione, che dall’inizio dell’anno supera il 10%, quello dei giovani in cerca di occupazione è di ben 3 volte superiore. Un segnale evidente che emerge dagli indicatori del lavoro di maggio, è che non ci sia ancora sicurezza nel domani. Ciò dimostrato dall’aumento congiunturale pari a “zero” degli occupati a tempo indeterminato, a fronte di un incremento dell’occupazione a termine, che ci informa come le imprese si stiano muovendo con prudenza.