Si fa presto a dire: intensifichiamo lo smart working e le tecnologie digitali. I ritardi anche in Basilicata pesano. La Uil e l’Eures, l’Istituto per le ricerche economiche e sociali, hanno presentato uno studio sulla Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e sulla competitività del sistema Italia. I principali risultati: in Basilicata le Amministrazioni Locali in cui è possibile gestire almeno 1
servizio interamente “da remoto” rappresentano il 51,1% (prima regione è il Veneto con il 70,8%).
Ancora, le Amministrazioni Pubbliche che nella nostra regione utilizzano sistemi di innovazionentecnologica anche semplicemente per le procedure di protocollo di atti e documenti, istanze di cittadini scendono al 45,2%.
Sono soprattutto le Amministrazioni Locali, ovvero gli “enti di prossimità” chiamati a dialogare più direttamente con cittadini e imprese – sottolinea lo studio – che confermano un evidente “ritardo digitale”: neanche la metà delle A.A. L.L. del nostro Paese (47,8%) riesce infatti a garantire la possibilità di gestire interamente «da remoto» l’iter di almeno 1 tra i 24 servizi più frequentemente erogati (Istat 2018). Una inadeguata digitalizzazione si riscontra chiaramente anche nelle «procedure interne»: ben il 44,9% delle AA.LL., infatti, protocolla ancora oltre la metà della documentazione prodotta attraverso procedure di tipo “analogico” (timbri, firme e sigle). Per la
Uil la “conversione” digitale della società che ha coinvolto trasversalmente tutti gli aspetti della vita quotidiana impone una profonda trasformazione alla Pubblica Amministrazione, dalla cui efficienza dipende in buona misura la competitività di un sistema. A fronte di tale esigenza, in Italia la spinta alla digitalizzazione della P.A. ha visto profondi interventi sul piano normativo – dal Codice
dell’Amministrazione Digitale (D.lgs. 82/2005) alla Riforma Madia – e, soprattutto, consistenti impegni di spesa: l’Agenzia per l’Italia Digitale segnala infatti per l’ultimo quinquennio una spesa media annua di 5,5 miliardi di euro, di cui il 66% per spese correnti e il 34% per “investimenti”. Le risorse finanziarie impiegate e la produzione normativa “dedicata” non hanno tuttavia garantito
un’effettiva trasformazione digitale della PA, dove ancora oggi si fa spesso ricorso a procedure e strumenti “tradizionali”. Il problema principale, a tale riguardo, sembra risiedere nelle difficoltà di “chiusura del ciclo” della digitalizzazione: le nuove tecnologie, infatti, anche laddove presenti, spesso non generano innovazioni di processo o di prodotto, ma si usano per gestire singole attività.
Non a caso il monitoraggio sullo stato di avanzamento dei progetti di trasformazione digitale realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale mostra come il raggiungimento dei principali obiettivi programmati per il 2020 – pur con qualche eccezione – risulti ancora distante.
Tra gli altri elementi dello studio. La disaggregazione territoriale segnala inoltre una marcata disomogeneità: nelle regioni del Nord, infatti, il livello di digitalizzazione dei servizi offerti dai comuni appare nettamente superiore a quello delle regioni del Sud: la più virtuosa è il Veneto, con una percentuale pari al 70%. Sono i comuni più piccoli a presentare le maggiori criticità: tra i quasi
2 mila comuni italiani con meno di mille residenti, infatti, solo uno su tre (33,7%) ha infatti interamente digitalizzato almeno un servizio al pubblico; tale valore sale al 40,8% nella fascia successiva (1.000-2.000 abitanti) e al 46,9% in quelli “da 2.000 a 3.000 residenti”, fino a
raggiungere un valore pari all’81% nei 104 comuni che contano almeno 60 mila abitanti.
La scarsa informatizzazione dei servizi al pubblico si accompagna ad una ridotta digitalizzazione delle procedure interne, che garantirebbe maggiore efficienza e trasparenza. Il Segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri sottolinea che “ l’Italia risulta ultima in
Europa nell’utilizzo dei servizi di eGovernment. In sostanza, solo il 32,3% dei cittadini utilizza i sistemi telematici per interfacciarsi con la PA, a fronte del 67,3% della media UE. Inoltre, l’Italia si colloca al 25esimo posto, con un indice al 43,6% (la media UE è al 52,6%) per quel che riguarda la digitalizzazione dell’economia e della società nel suo insieme e, quindi, per diffusione delle nuove
tecnologie. Leggermente migliore – prosegue Bombardieri – ma sempre al di sotto della media UE, il dato relativo alla digitalizzazione dei servizi pubblici: siamo al 19esimo posto, con un indice al 67,5% e una media UE al 72%. Davvero preoccupante, poi, è il fatto che neanche la metà delle Amministrazioni Locali sia in grado di gestire interamente da remoto almeno uno dei 24 servizi più
frequentemente erogati. Non solo, ben il 44,9% di queste Amministrazioni protocolla ancora oltre la metà della documentazione prodotta attraverso procedure di tipo analogico. Alla luce di questi dati – ha precisato il leader della Uil – chiediamo al Governo e alla politica di decidere che la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione diventi uno dei principali asset strategici per
l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. È necessario investire e formare perché su questo tema esiste, evidentemente, anche un problema di tipo culturale. Forse, tra le altre cose, sarebbe utile che il servizio pubblico radiotelevisivo – conclude il segretario della Uil – prevedesse l’inserimento nei propri palinsesti di programmi che educhino al digitale tutti i cittadini, sul modello di quel che
accadeva alle origini della Rai con la famosa trasmissione del maestro Manzi, ‘Non è mai troppo tardi’ “.
Ago 11