Uil Fpl: “Per un sistema sanitario regionale forte bisogna rafforzare Aor San Carlo”. Di seguito la nota integrale.
Il Sistema sanitario regionale, soprattutto negli ultimi anni, ha fatto e sta facendo dei passi indietro evidenti. Ed è quello a cui si assiste oggi all’interno dell’A.O.R. San Carlo.
Il deficit organizzativo e il grido di aiuto a più riprese del personale sanitario medico, infermieristico e di supporto mai ascoltato e sempre ignorato ha ridotto la prima Azienda Ospedaliera Regionale a ricoprire la penultima posizione tra Migliori ospedali d’Italia, secondo la classifica di Newsweek occupando esattamente la posizione 126 su 127.
Questo giustifica la migrazione sanitaria, soltanto nel 2020, ha determinato il trasferimento di 3,3 miliardi di euro dalle Regioni meridionali verso quelle più attrattive. Gli ospedali scelti per curarsi dagli italiani che vivono al Sud si trovano principalmente in tre Regioni: l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto.
Ma non solo anche la scarsa attrattività dell’Azienda Ospedaliera Regionale San Carlo porta i professionisti a scegliere sempre di più aziende sane, virtuose e prestigiose.
Basta ascoltare il personale occupato nelle varie UU.OO. nei diversi presidi ospedalieri per rendersi conto del caos che regna, costretti a lavorare spesso in numero non adeguato, rendendo insostenibile il carico di lavoro, non riuscendo a garantire la giusta assistenza che tutti i cittadini che si recano in ospedale per le cure debbano avere.
Tutto questo per una svista della direzione strategica che determina attraverso formule matematiche il numero dei professionisti sanitari nelle varie U.O., senza verificarne le condizioni lavorative delle singole U.O.
Le criticità di un sistema come quello della salute non si risolvono analizzando le questioni come fossero compartimenti stagni e intervenendo sui problemi secondo un modello a silos o di calcoli aritmetici.
La risposta giusta a tutto ciò può essere solo la realizzazione del corretto percorso di cura. Perché la cura non è un atto unico, una istantanea che si scatta in ospedale o sul territorio o un’equazione matematica che si risolve mettendo in ordine due numeri. Il percorso di cura riguarda la presa in carico globale del paziente, che si realizza sul territorio e in ospedale, articolato su un unico ecosistema.
La stagione concorsuale ha aiutato il sistema sanitario ma non ha risolto le criticità questo dovuto anche da una maldistribuzione del personale nelle varie U.O. sempre frutto di algoritmi matematici e non di realtà di vissuto delle singole e differenti U.O.
A livello nazionale, il numero di infermieri ospedalieri evidenziato da numerosi studi rispetto al livello europeo non risulta sufficiente a garantire un’assistenza sicura. In Italia, all’interno dei reparti di medicina e chirurgia generale il rapporto medio pazienti/infermiere e 9,5:1. La media europea è di 8:1, dato che comunque oltrepassa il rapporto ottimale di 6:1, definito quale rapporto consono per garantire un’assistenza infermieristica sicura.
In considerazione degli studi presenti in letteratura, è indispensabile raggiungere lo standard minimo di staff. L’obiettivo è chiaro: rispondere, tanto in sicurezza quanto in qualità, alla complessità dei bisogni di salute delle persone assistite a livello ospedaliero, assicurando – appunto – un rapporto infermiere/persona assistita minimo pari a 1:6 nelle aree di medicina e chirurgia generale, con parallela implementazione di modelli assistenziali (quali primary nursing e case management) volti a edificare piani personalizzati di assistenza, alla presa in carico della persona, della sua famiglia e alla continuità delle cure ospedale-territorio.
Le criticità più gravi che si riscontrano in tutti i Presidi ospedalieri è la mancanza ormai cronica decennale di personale di supporto che ha generato nel tempo una situazione ingestibile.
L’augurio che ci facciamo che il concorso regionale da OSS che ormai è alle fasi conclusive possa sistemare in parte questa condizione di forte disagio, formule matematiche permettendo.
Gli infermieri sono sistematicamente demansionati Tutti i lavoratori hanno una mansione specifica, definita dal contratto altrimenti è nullo, ed ogni violazione, specie l’art. 2103 del C.C. genera contenzioso con il datore di lavoro e quindi risarcibile.
L’art. 2103 C.C. recita: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione…”.
Il ministero della Sanità dispone che … L’infermiere per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto” e non che “si avvale, ove presente o se presente o se l’amministrazione provvede, del personale di supporto”.
La presenza del personale di supporto è, quindi, necessaria nel servizio affinché l’infermiere, “responsabile dell’assistenza generale infermieristica” – (art. 1, co. 1 succitato), pianifichi e gestisca gli interventi assistenziali ed anche igienico-domestico-alberghieri.
Solo l’infermiere può gestire, pianificare e programmare l’assistenza. Programmare non significa pulire la padella; pianificare non vuol dire rispondere al campanello per girare la manovella del letto; gestire non significa svuotare un pappagallo.
Significa conoscere le esigenze del paziente ed impartire disposizioni esecutive al personale di supporto, che ci deve essere, perché ogni bisogno sia soddisfatto efficacemente. Il tipo di lavoro (manuale o intellettuale) che è affidato all’infermiere si desume anche dalla normativa sanitaria in materia.
Quando l’ospedale non garantisce la pianta organica e obbliga, di fatto, l’infermiere a sopperire alle carenze umane ausiliarie, commette un inadempimento contrattuale ex art. 1218 C.C., esaustivamente risarcibile.