Il sistema di protezione sociale rappresentato dagli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, ASPI, Mini ASPI e disoccupazione), tra indennità e contributi figurativi in Basilicata si aggira intorno ai 70-75 milioni di euro, di cui il 50% è per la cig che complessivamente nell’arco di un anno tocca gli 8 milioni di ore mentre il numero di lavoratori interessati oscilla di mese in mese sino a raggiungere un tetto massimo di 7mila unità. E’ quanto emerge dal IV Rapporto del Servizio Politiche Territoriali e del lavoro della Uil che ha elaborato i dati dei percettori e della spesa degli ammortizzatori sociali del 2013 e del 2014, analizzando i Rendiconti e i Rapporti INPS.
“L’accordo per la mobilità in deroga siglato in Regione, reso possibile dai 6 milioni di euro aggiuntivi ottenuti dalla Regione – a parere della Uil – intanto sana situazioni pregresse che si trascinano da tempo e introduce per il biennio 2015-2016 parziali garanzie a conferma che la questione è tutt’altro che chiusa. Con questa analisi, spiega la UIL, invece, vogliamo far emergere, che c’è ancora tanto da migliorare nel sistema degli ammortizzatori sociali. In particolare, dall’analisi dei dati reali certificati sullo stato degli strumenti di protezione sociale, non ci convince l’aver spostato in maniera radicale la protezione della persona al di fuori del processo produttivo, quando ci sono serie speranze di ripresa dell’azienda. In sostanza consideriamo sbagliata e velleitaria l’idea di caricare solo sulla NASPI (indennità di disoccupazione) il peso di garantire una forma di reddito alle persone.”
E a proposito di NaspI c’è una falla secondo la Uil. Per 1/3 (300 mila persone su un totale di 898 mila) dei lavoratori e lavoratrici domestiche che lavorano meno di 24 ore settimanali non vi sarà, in caso di perdita di lavoro, il “paracadute sociale” rappresentato dalla NASPI, a differenza di quanto avveniva in passato con l’ASPI. Infatti, l’INPS con la circolare n. 142 emanata alla fine di luglio specifica che l’ulteriore requisito per aver diritto alla NASPI (30 giornate lavorate nell’ultimo anno), viene interpretato, per gli addetti del lavoro domestico, nel senso che è indispensabile un’attività lavorativa di 5 settimane di almeno 24 ore lavorative. Questo significa che se lavori 24 ore o di più hai diritto alla NASPI, altrimenti con una attività fino a 23 ore, a prescindere dall’anzianità contributiva, non hai diritto alla NASPI.
“Perché negare a chi lavora a part time – osserva la Uil – una prestazione così vitale, qual è l’indennità di disoccupazione, come peraltro è concessa agli altri 3,2 milioni di dipendenti degli altri settori di attività? Tutto ciò è contraddire l’affermazione del governo Renzi che ha sempre enfatizzato l’allargamento a tutti i lavoratori degli ammortizzatori sociali. Purtroppo, con questo siamo al secondo buco del Jobs Act: al primo, per i lavoratori stagionali del turismo, è stata messa una toppetta, a questo secondo dobbiamo sperare in un rapido ravvedimento operoso”.
“L’auspicio – continua la Uil – è che con la prossima legge di stabilità si ponga rimedio ad alcuni errori commessi con la riforma degli ammortizzatori sociali (jobsact) con la finalità di raggiungere un obiettivo condiviso: ammortizzatori sociali più inclusivi, equi e adattabili anche a stagioni in cui la crisi ancora colpisce. Sono quindi, da rivedere sia le nuove norme che escludono centinaia di migliaia di persone dal nuovo sistema delle indennità di disoccupazione sia gli interventi troppo restrittivi sulla Cassa Integrazione.”
E’ bene che il Governo prima di decidere di ridurre durata e reddito – commenta il segretario regionale lucano della Uil Carmine Vaccaro – consideri gli effetti sociali di tali decisioni. Infatti, pur in presenza di una flebile “ripresina” sono quasi 400.000 le unità di lavoro protette dalla cassa Integrazione e, ancor più importante, circa 1 milione le persone che beneficiano (o beneficeranno) di questo strumenti di integrazione al reddito sino a fine anno. Tutto ciò rafforza la nostra valutazione sul reddito minimo di inserimento che garantisce e copre l’emergenza di settori di lavoratori espulsi dal mercato del lavoro e troppo giovani per andare in pensione e che comunque non è la soluzione della madre di ogni problema sociale, vale a dire la mancanza di lavoro e con esso la restituzione della dignità umana. I sindacati usano una parola d’ordine, molto pregnante per fare questa ‘grande spinta’: “Riformare la Basilicata”, rimettere in moto tutt’ insieme un complesso organico di provvedimenti cornice che tengano insieme politiche di sviluppo e cambiamento istituzionale. Ma è ancora debole la tensione verso il cambiamento che non è improvvisazione, piuttosto continuità, faticosa continuità, costruzione di una lunga e solida catena di relazioni intorno alla propria identità”.