Su poco più di 700 contratti di secondo livello e oltre 1000 accordi aziendali e 4000 clausole aziendali tra le tematiche maggiormente presenti negli accordi ci sono il welfare (27,13%), il salario di produttività (10,47%), le relazioni industriali (15,44%), e l’organizzazione del lavoro (19,94%). Volgendo lo sguardo, invece, alla collocazione territoriale delle imprese e di conseguenza alla relativa diffusione della contrattazione aziendale, è evidente che il triangolo interregionale tra Lombardia, Emilia-Romagna e Triveneto offre oggettivamente un maggiore spazio anche ad una contrattazione qualitativamente più avanzata, mentre il territorio del mezzogiorno si caratterizza per una generalizzata povertà imprenditoriale che si riverbera sulla contrattazione. Sono alcune delle indicazioni del terzo Rapporto sulla contrattazione decentrata, predisposto dalla Uil evidenziando che “la disomogeneità territoriale non è un bene perché essa è paradigmatica di altre disuguaglianze, tra generazioni e di genere, che esistono e persistono nel nostro Paese”. La proposta centrale della Uil: “Non si fa contrattazione di secondo livello e i contratti nazionali vengono faticosamente rinnovati: se questo è il bilancio, allora, si deve cambiare il modello contrattuale”.
È evidente – sottolinea Tiziana Bocchi segretaria confederale Uil – che gli accordi sottoscritti tra il 2016 e il 2018 vanno rivisti. Per i rinnovi di alcuni contratti nazionali, sono trascorsi anche più di otto anni, mentre quelli di secondo livello, aziendali e/o territoriali, sono scarsamente praticati, al punto che coprono solo tra il 25% e il 28% delle lavoratrici e dei lavoratori delle imprese private. Né aiuta la mancanza di un provvedimento legislativo che azzeri l’aliquota sulla detassazione dei premi di produttività, così come abbiamo ripetutamente richiesto al Governo”.
Nell’ambito di questa proposta di riforma del sistema contrattuale, la Uil inserisce altre rivendicazioni: “Per porre un freno al proliferare dei contratti pirata – ha sottolineato Bocchi – serve una legge di sostegno al testo unico sulla rappresentanza, prevedendo anche l’estensione dell’obbligo della elezione delle Rsu nelle realtà in cui vi siano almeno 5 lavoratori. Conseguentemente, occorre attuare l’articolo 39 della Costituzione, in modo che i contratti stipulati abbiano efficacia erga omnes. Resta, poi, la nostra assoluta contrarietà alle gabbie salariali, mentre condividiamo l’introduzione di un salario minimo che assuma a riferimento i minimi contrattuali dei contratti firmati dalle Associazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative. Inoltre – afferma Bocchi – si deve rendere effettiva la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alle strategie di impresa, ma non attraverso la presenza nei Consigli di amministrazione né con la partecipazione agli utili e all’azionariato”.
“Il nostro rapporto – commenta il segretario regionale Uil Vincenzo Tortorelli – disegna un intento specifico della UIL: se è vero che la persona deve essere sempre al centro dell’attività di contrattazione, non possiamo non avere la stessa anche al centro della nostra analisi sulla contrattazione collettiva decentrata. È una specie di prova del nove: se la persona è stata posta al centro della contrattazione, allora dall’analisi si comprenderà effettivamente ciò che abbiamo negoziato, anche a livello aziendale. Cioè, l’analisi di ciò che noi siamo e facciamo come sindacato in termini di negoziazione collettiva non può non avere come punto di riferimento la persona, sapendo che ogni nostra attività ha ricadute dirette e indirette sulla dignità delle lavoratrici e dei lavoratori. Inoltre nel Rapporto si nota un orientamento sempre più consolidato della contrattazione decentrata verso forme di salario variabile, legate alla produttività, alla qualità e a altri elementi di competitività aziendale. Questa è una formula antica risalente al 1993 ed è stata più volte riletta anche dal legislatore e aperta a diversi significati. In questa prospettiva, da circa tre decenni, si assegna alla contrattazione decentrata, aziendale, il compito di definire quelle forme retributive che sono, direttamente o indirettamente legate, alla produttività. Anzi, negli accordi dell’ultimo decennio, dal 2014 in poi, gli equilibri della struttura contrattuale hanno riservato alla contrattazione decentrata il compito essenziale di collegare la retribuzione agli andamenti della produttività e redditività, variamente misurati, tenendo in considerazione che tali premi potevano anche diventare forme di welfare aziendale. Il che – sottolinea Tortorelli – determina, almeno per i settori industriali, il consolidamento del principio secondo cui al contratto decentrato spetta la definizione del salario di produttività e al contratto nazionale la funzione di tutelare il generale potere di acquisto delle retribuzioni, essendo preclusa la competenza a definire dinamiche retributive collegate a indici generali di produttività”.
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